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Il caso Diawara. Il punto perso, la credibilità del calcio e il paradosso di una pena senza colpa

LaPresse

Impiegando il centrocampista la Roma non ha tratto alcun vantaggio

Redazione

L’istituto della sconfitta a tavolino è nato come castigo. Un castigo prevede una colpa o in termini meno cattolici una responsabilità. Si puniscono una frode, un furto, una truffa. Come è stato chiaro sin dall’inizio, non esiste invece alcun dolo in quanto accaduto, scrive Angelo Carotenuto su La Repubblica.

La cosa ha una sua evidenza inconfutabile. Ogni anno i club consegnano in Lega Calcio un elenco di 25 calciatori che intendono utilizzare. La lista ha due vincoli. Il primo prevede che tra i venticinque, almeno 8 siano “calciatori formati in Italia”. Il secondo vincolo vuole che di questi otto almeno 4 siano “calciatori formati nel club” , appartenenti al vivaio della società. In questa lista da venticinque non entrano gli Under 22. Amadou Diawara ha il 1997 come data di nascita sul proprio documento. Ha compiuto 23 anni a luglio e la Roma lo ha considerato per errore un Under 22 nella prima giornata, tenendolo fuori dai 25. Ma la Roma non ha tratto alcun vantaggio: nella lista c’erano ancora 4 slot liberi. Nulla impediva a Diawara di occupare uno di quei posti, se non una distrazione all’atto della compilazione. Una faccenda casomai più interessante per i risvolti interni alla società, con l’irritazione dei Friedkin per il processo che ha condotto fino a quel punto e per la separazione successiva dal segretario, Pantaleo Longo. Ma l’impatto di questo strafalcione sulla partita è stato pari a zero. La domanda da porsi è: Diawara avrebbe potuto giocare? La risposta è sì. Se la risposta è sì, che cosa si castiga?

Quel punto costa alla Roma in questo momento l’esclusione dalla zona Champions. Nessuno può dirsi certo che ci sarà un girone di ritorno, che ci sia dunque tanto spazio per neutralizzare un ritardo, anche minimo. . In questo quadro generale di credibilità perduta, per colpa dei positivi Covid, un punto in più o in meno scava un abisso, e finire quarti o quinti è da tempo nel calcio italiano una differenza rilevante. In grado di condizionare la vita di una società e i suoi bilanci.