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Venditti: «Diamo credito a Luis»

(Il Romanista-M.Macedonio) «È vero, ci sentiamo tutti un po’smarriti, in questo momento, e alla ricerca di un’identità» dice Antonello Venditti,

Redazione

(Il Romanista-M.Macedonio) «È vero, ci sentiamo tutti un po’smarriti, in questo momento, e alla ricerca di un’identità» dice Antonello Venditti,

nell’esprimere come stia vivendo l’attuale fase della squadra giallorossa. Lo fa alla vigilia dei due concerti che terrà al Palalottomatica stasera, giorno del suo compleanno, e domani. «Ma quando canteremo “Grazie Roma” – continua il cantautore romano – sarà importante ritrovarci tutti insieme. Perché credo che la musica faccia bene. E siccome tra i punti fermi della Roma penso di esserci anch’io, quello stare insieme servirà anche a me».

 

Parliamo allora di Roma. Come spieghi l’involuzione di gioco e di risultati che ha preso la stagione? E’ come un gatto che si morde la coda. Anche a me sarebbe piaciuto che la Roma finisse una partita in undici. Ma mi chiedo anche da cosa dipenda questo rimanere in dieci o in nove. E allora, dico anche che “chi è causa del suo mal...

E’ un problema di giocatori non adatti al gioco di Luis Enrique? Oppure di supervalutazione di qualcuno di loro? O ancora, di non adattamento del tecnico alle risorse di cui dispone? L’adattabilità deve essere reciproca. Liedholm, quando arrivò, si accorse che il gioco migliore per quella squadra, sulla base delle caratteristiche degli uomini che aveva, era quello a zona. E fu così che riuscì a trarre il meglio da ciascuno di loro. L’impressione che ho è che questi giocatori non riescano ad interpretare nel modo migliore il gioco che vuole Luis Enrique. O almeno, non tutti.

Basterà quindi intervenire sul mercato e prendere quegli elementi che mancano? Normalmente, quando una squadra di calcio va male, si cambia il tecnico. E’ capitato in qualsiasi società. Al Milan, alla Juve… Noi partiamo invece da un discorso diverso e molto più complicato. Alla Ferguson, per capirci. Ruolo che avrebbero potuto ricoprire, in passato, anche altri tecnici della Roma. Da Liedholm a Capello. Oggi, la società ha deciso di attribuirlo a Luis Enrique. Partendo da una valutazione che guarda soprattutto all’età. Così come tutto, mi sembra, nella Roma, in questo momento, è visto sotto questo profilo. Ma l’età non è tutto. Perché ci sono giovani bravi e altri meno. La giovane età, insomma, non è sempre garanzia di validità. Perché serve comunque il talento, così come la sicurezza che si cresca insieme. Luis Enrique, onestamente, il carisma ce l’ha. Il futuro dell’allenatore, però, dipende soprattutto dai giocatori. Se questi non ti seguono o interpretano male il tuo gioco, o cambi, o te ne vai.

A dir la verità, i giocatori sono sempre stati dalla sua parte. Sicuramente la squadra non gioca contro l’allenatore. Commette però errori banali… “infantili”, come ha detto lui stesso. Il problema quindi è tecnico. O di giocatori non all’altezza. Ho l’impressione che questa prima tornata di acquisti sia stata in parte deficitaria. Non boccio Luis Enrique, che interpreta un calcio moderno, che ci piace. Del resto, l’abbiamo anche vista giocare bene, questa squadra. Diamo quindi credito al tecnico, perché quando la squadra ha voluto, ed è rimasta concentrata, ha fatto belle partite. Rischiando sempre, è vero, perché ha ragione lui quando dice che tra la vittoria e la sconfitta c’è spesso una differenza sottilissima. Ma confermando che serve l’esperienza. E questa è una squadra che ne ha molto bisogno. Se provo ad immaginarla senza Totti e De Rossi, sto in ambasce.

Pensi che con un altro allenatore avrebbe potuto ottenere risultati migliori? Non ne ho la controprova. Forse con un altro modulo. O con un tecnico che avesse calcolato meglio ciò che aveva a disposizione, da Simplicio a Pizarro, allo stesso Perrotta, che è pur sempre un campione del mondo, ma nel 4-3-3 di Luis Enrique non c’entra niente. Perché lui gioca in un’altra parte del campo. Ma deve forse capire che il calcio italiano è diverso, molto più tattico. E gli allenatori italiani sono scaltri, perché sono andati a scuola, e non a caso tutte le squadre che affrontano la Roma lo fanno nello stesso modo. Un po’ come accadeva con Zeman. Quando prendevi gol in fotocopia. E poi bisogna capire che il gioco è anche risultato. O quasi sempre. Perché sono i risultati che rimangono e che fanno gioire il tifoso. Se giochi bene ma perdi, non hai ottenuto nulla. Come l’Arsenal contro il Milan l’altra sera. Puoi anche aver fatto una bella partita, ma se non hai portato a casa la qualificazione, non sarà servito a niente.

Come ti regoleresti rispetto alla scelta di confermarlo o meno? E’ una decisione che deve prendere la società. Non dimentichiamoci che anche lei è molto giovane. Vedo che cerca di darsi delle regole. Che però a volte mi sembrano vacillare. Come adesso, avendo fatto ricorso per Osvaldo. Mi chiedo anche il perché di tante limitazioni… Penso invece che tutti dovrebbero potersi esprimere liberamente. Vorrebbe dire che ti fidi dei tuoi giocatori. Se vanno puniti? Certo, ma in ambiti diversi, e non sbandierandolo a destra e a manca.

Il tuo personale giudizio sul tecnico? Sono sicuro che lui sia un talento. Perché il suo lavoro è fatto di impegno, sacrificio, abnegazione e fantasia. Rilevo però che in tante occasioni in cui si è fidato dei giocatori, la squadra non ha sempre corrisposto alla sua fiducia. Come quando ha detto “Lamela domani farà due gol”, e poi invece...

E da tifoso, come vivi questo momento? Con un po’ di sconforto. Quando vai a vedere una partita non sai mai cosa accadrà. Manca ancora la compattezza di squadra. E mi dispiace tantissimo. Perché la Roma non si merita tutto questo. La nostra storia non si merita questo. Ma capisco anche che la dirigenza si trovi in una condizione difficilissima. In cui devi tamponare, mettere rimedio. Una situazione di instabilità, insomma, dovuta al fatto che anche la società è giovane. E lei per prima si deve stabilizzare, e se non lo fa, non c’è regola che tenga.

Cosa ti aspetti dalle prossime dodici partite? Sembra una clessidra. Ricordo quando Luis Enrique diceva “Mancano ancora quindici partite”. E poi quattordici, e poi tredici. Ora sono dodici… Stiamo quasi aspettando che finisca, ma risultati: zero. Sapevamo fin dall’inizio del valore di Lamela, Pjanic o Gago, ma quello complessivo di una squadra è dato dalla continuità. E finora di belle partite ne abbiamo viste quattro… Ogni volta che si è trovata a fare il salto di qualità, non c’è riuscita. E quello che mi preoccupa è che, l’ultima volta, ho visto negli occhi di Luis Enrique, quasi un non crederci più neanche lui. E questo mi dispiace molto. E qualcosa del genere l’ho visto anche in qualche giocatore. Sarebbe un peccato… Certo. Ma noi non ci dobbiamo sconfortare, perché abbiamo vissuto momenti di gran lunga peggiori di questo. Quindi, se volete cantare “Grazie Roma” insieme a me, stasera, io sono pronto.