(Il Romanista - T.Cagnucci) Ma davvero non ci volete provare a credere? Davvero preferite dire che è troppo tardi, che sette partite sono poche, che il calendario della Juventus è facile, che dovrebbe perderne tre, che dovremmo vincerle tutte, che tanto non ce lo faranno vincere, che bisogna guardare al Napoli, che il secondo posto è troppo importante, che le premesse erano altre, che se c’avessero detto st’estate che la Roma sarebbe arrivata seconda avremmo tutti firmato col sangue, che che… Che? Che?
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(Il Romanista – T.Cagnucci) Ma davvero non ci volete provare a credere? Davvero preferite dire che è troppo tardi, che sette partite sono poche, che il calendario della Juventus è facile, che dovrebbe perderne tre, che dovremmo vincerle...
Davvero c’è bisogno di specificarle ’ste cose? Ma non ve brucia er core? Ma secondo voi se Rodrigo Taddei avesse ragionato adeguandosi al fatto che erano sei mesi che non giocava, cinque anni che non era un titolare della Roma ci sarebbe arrivato a ieri? A fare (sì a farla) questa Curva della sua vita? Non vi va di giocare una fiche sull’impossibile? Ma davvero tutte queste né sacre né sante ma solo ovvie banalità devono trovare posto qua? Ma davvero questa Roma si merita ’sto trionfo del buon senso, ’sto panegirico del calcolo, ’sta fanfara della mediocrità, ’sto grigio e borghese sapore della sicurezza, queste assicurazioni sul già detto, sul già sentito, sullo scontato? Ma non vi fa sognare la Roma? Quella di quest’anno, quella di sempre.
L’Utopia non è un’illusione altrimenti avrebbero lo stesso nome. Il sogno non è una menzogna altrimenti non potrebbe mai diventare realtà. Qui non si tratta di vincere, di spacciare trionfi a buon mercato perché qui fra l’altro a questo nessuno è interessato. Si tratta di crederci. Sempre.La storia di Rodrigo Taddei racconta questo. La storia di pane quotidiano e sudore (con un dolore vero nascosto in fondo al cuore e che per questo batte solo sotto la maglia) di Rodrigo Taddei se riesce a diventare favola di un giorno come quello di ieri è per questo. E’ l’umiltà che ti porta a riempirti di gioia, è il lavoro, è il crederci quando tutti ti dicono “lascia stare”, anzi crederci quando tutti nemmeno ti dicono niente perché si sono dimenticati di te, perché ti danno per finito, per passato, per scontato. Invece certe cose non hanno prezzo. Certi sapori, certi valori, certi attimi che ti ripagano delle ore lunghe, delle ore noiose, delle ore vuote.
Ieri Rodrigo Taddei è stato tutti noi così come Balzaretti a settembre. Tutti tifavamo per un suo gol. Come ricompensa, come un dovere, come una preghiera, come una distrazione. La spocchia e la boria ce le hai non quando punti in alto, ma quando dai le cose per scontate, quando te la “senti calla”, quando ti metti lì a giudicare il sognatore di turno, a condannare il primo che prova ad andare oltre le righe, a dire una cosa non sentita, a cantare una canzone stonata.
“Dicono era il mio sogno sin da bambino…” E cantano bene. Non solo quello di vedere “su questa maglia il tricolor” ma di indossarla quella maglia, di onorarla, di portarla sotto la Curva e di baciarla. Ieri Rodrigo Taddei è stato tutti noi, ieri Rodrigo Taddei, almeno ieri, solo ieri è stato più grande del Sole, di un Giocatore che è il Giocatore della nostra storia che si può dire senza nominare, o magari usando i numeri (234).Codici da leggenda. Taddei è spuntato dalla mammella della Lupa, terzo gemello (Romolo, Remo e Rodrigo) e arrampicandosi sopra al simbolo è diventato lui stesso un simbolo. Di un uomo che supera gli ostacoli, di un uomo che “è” e non che sembra Johnny Depp, di un uomo che poi è andato a fine partita (lontano dalle tivvù) a prendersi il ragazzino in braccio perché queste sono le storie da raccontare ai tuoi figli, queste non quelle delle vittorie sicure, dei sorrisi prestampati, delle feste organizzate. Sono le storie degli uomini che sanno scavalcare le barriere (e i tornelli, e le tessere, e le divisioni). Le storie degli uomini che vincono quando sentono battere il cuore. Che vincono quando sono uomini.
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