rassegna stampa roma

Schütz primo tedesco di Roma

(Il Romanista – F.Bovaio) – Se nei suoi ottantacinque anni di storia la Roma non ha mai ingaggiato giocatori inglesi, affidandosi però a quattro allenatori d’oltremanica, il discorso inverso la riguarda per ciò che concerne il suo...

Redazione

(Il Romanista - F.Bovaio) - Se nei suoi ottantacinque anni di storia la Roma non ha mai ingaggiato giocatori inglesi, affidandosi però a quattro allenatori d’oltremanica, il discorso inverso la riguarda per ciò che concerne il suo rapporto con la Germania.

Una terra dalla quale sono arrivati cinque giocatori giallorossi (tra i quali tre campioni del mondo) ma nessun tecnico (tranne la breve parentesi di Rudi Voeller). Anche se quello del primo scudetto, l’ungherese Alfred Schaffer, era di lingua e nome tedeschi, ma solo per il fatto di essere nato nell’Impero Austro-Ungarico alla fine dell’800. In Germania, a Monaco di Baviera, sua moglie aveva una birreria, dove si rifugiò quando la guerra cominciò a farsi sentire anche in Italia. Non immaginava che le bombe lo avrebbero raggiunto anche lì. La birreria fu distrutta e i coniugi Schaffer conobbero la sorte di molti cittadini europei inermi di fronte alla tragedia del conflitto. Il mastodontico Alfred, amante della loro birra e del nostro vino, morirà qualche anno dopo la fine delle osticilità a Piren, proprio in Germania, a causa della cirrosi epatica. Tanti legami con quella terra, dunque, ma non chiamatelo tedesco. Tali erano, invece, Jurgen Schutz, KarlHeinz Schnellinger, Rudi Voeller, Thomas Berthold e Thomas Haessler, i cinque calciatori giallorossi dei quali scrivevamo all’inizio. Il primo di loro ad arrivare nella Capitale fu il centrocampista d’attacco Schutz, proveniente dal Borussia Dortmund, la squadra della città nella quale era nato il 1° luglio 1939. La Roma lo acquistò nell’estate del 1963 e in quella stagione (1963-64) in giallorosso disputò 15 partite segnando 5 gol. Un rendimento discontinuo causato dai problemi al menisco in un’epoca in cui, rimuoverlo, poteva anche voler dire smettere di giocare a calcio. Peccato, perché la tecnica di base era buona e di forza fisica ne aveva tanta. Alla Roma tornò nella stagione 1966-67 senza trovare, però, grandi spazi in un attacco che comprendeva anche Peirò, Enzo e Barison. Subito dopo Schutz, nell’estate del ’64, arrivò Schnellinger, acquistato nel ’63 ma girato in prestito al Mantova per fargli fare esperienza nel nostro calcio. Dopo un campionato in provincia la Roma lo portò nella Capitale ma per poterlo schierare dovette superare un noioso intoppo burocratico.

Per fortuna della Roma a risolvere il problema ci pensò direttamente il presidente Marini Dettina, che versò al Mantova i 40 milioni di tasca sua. A Roma Schnellinger giocò solo nel campionato 1964-65, alla fine del quale, tra mille rimpianti, dovette essere ceduto al Milan per far fronte ai problemi economici della società. In rossonero, poi, vinse tutto quello che c’era da vincere, ma nella storia del nostro calcio entrò definitivamente quando segnò il momentaneo 1-1 al 90’ del famoso Italia-Germania 4-3 dei Mondiali di Messico ’70. Una casualità che si verificò in quanto Schnellinger, stanchissimo, si venne a trovare nella nostra area di rigore perché si stava avvicinando agli spogliatoi. Per il suo non fermarsi mai in campo fu ribattezzato Volkswagen, come il Maggiolino della nota marca di automobili tedesca e la sua capacità di adattarsi a più ruoli fu notevole, tanto che giocò da stopper, libero e anche mediano a protezione della difesa. Dopo il suo addio per ritrovare un tedesco nella Roma dobbiamo arrivare al 1987, l’anno in cui il presidente Viola acquistò Voeller dal Werder Brema. Di Rudi sappiamo tutto: volava palla al piede verso la porta avversaria, segnò un gol storico nel derby del Flaminio e ne fece altri bellissimi in Europa quell’anno della Coppa Uefa persa in finale con l’Inter (1991). Ma soprattutto si innamorò di Roma al punto di non saperle resistere quando venne chiamato di corsa ad allenarla dopo le dimissioni (giustificate) di Prandelli. Un gesto d’amore unico, ma pagato a caro prezzo. Diventò Campione del Mondo nel suo Stadio Olimpico con la Germania nei Mondiali del ’90 insieme al compagno romanista Thomas Bertolhd (alla Roma dall’89 al ’91) e a “Tommasino” Haessler, che nella Capitale arriverà nel ’91 per restarvi fino al ’94.