rassegna stampa roma

Il sogno di uno stadio… Testaccio

(Il Romanista – M. Izzi) – È passato un po’ di tempo da quando assieme all’amico Massimo Germani ho fatto visita all’area che sino alla fine degli Anni 50 ha ospitato il Velodromo Appio, il primo “campo” della Roma.

Redazione

(Il Romanista - M. Izzi) -È passato un po’ di tempo da quando assieme all’amico Massimo Germani ho fatto visita all’area che sino alla fine degli Anni 50 ha ospitato il Velodromo Appio, il primo “campo” della Roma. La memoria del luogo in cui la Lupa debuttò con la formazione riserve e la prima squadra il 16 e 17 luglio 1927 è stata quasi completamente rimossa. Per ritrovarla non è bastato neanche l’aiuto della toponomastica. Sia Via del Velodromo che Via dei Cessati Spiriti (tra il 1927 e il 1929 non era consuetudine leggere sui giornali che la Roma aveva giocato “ai Cessati Spiriti”), perché il Campo non si trovava esattamente lì. Infine, ho dovuto ricorrere ad una documentazione fotografica. Alcuni dei palazzi che circondavano l’Appio al momento della sua demolizione sono ancora al loro posto, identici, e permettono di sognare, ad occhi aperti la Roma di Ballante e Attilio Ferraris IV, di Mattei e De Micheli. Anche quell’impianto, è incredibile come certe cose non debbano cambiare mai, venne votato al calcio previa “copertura politica”. [...]

Inaugurato con una bottiglia di Champagne infranta sul palo di una delle due porte, il Velodromo, a dire il vero, di bollicine ne aveva pochine. Situato nella periferia della città, quantomeno per l’epoca, era inviso a calciatori e pubblico in quanto in terra battuta. Tutte le volte che il vento si alzava, le squadre sparivano in una nube sahariana, mentre quando faceva capolino la pioggia, il terreno si trasformava in una pozza indecorosa. L’AS Roma, insomma, già al momento della propria fondazione, aveva ben chiara la priorità di spostare la prima squadra in un altro palcoscenico. La soluzione, semplicissima, fu quella di rilevare l’area che era già stata individuata dalla Fortitudo, vale a dire Campo Testaccio. Il solo e unico stadio della Roma, la casa giallo-rossa è stata e rimane Testaccio. Un covo infuocato che la Roma non doveva dividere con cugini e parenti vari. Uno stadio, in cui, per intenderci, gli spalti erano dipinti di giallo-rosso. [...]

Se Pallotta riuscirà a ridare una casa alla Roma, le avrà ridato lo spirito di Testaccio, che non è mai morto, ma ha continuato a sopravvivere nello spirito dei tifosi, non certo in impianti come lo stadio Flaminio (già stadio Nazionale, stadio Nazionale del PNF e stadio Torino) o lo stadio Olimpico. Lo Stadio Nazionale, attivo sin dal 1911, ristrutturato in vista dei Mondiali del 1934 e in seguito demolito e completamente ricostruito in vista delle Olimpiadi di Roma 1960 (quando ospiterà la finale Olimpica che consegnò il titolo alla Jugoslavia), era uno stadio dall’architettura elegante, ma algido. Allo Stadio Nazionale la Roma ha vinto il suo primo scudetto, ma il rimpianto per non aver ottenuto quella vittoria a Testaccio ha attraversato, un’intera generazione di tifosi romanisti.

Lo Stadio Olimpico, inaugurato nel 1953 ha avuto la sua “poesia” e il suo significato fin quando era inserito, come un diamante, nel contesto naturale per cui era stato disegnato. Con un’acustica particolarissima che rendeva unico al mondo il boato che seguiva i gol della Roma. La copertura effettuata per i Mondiali d’Italia 90 ha perpetuato un omicidio architettonico. All’Olimpico, però, la Roma ha conquistato due scudetti, vissuto il sogno-incubo della finale di Coppa Campioni, vinto una Coppa delle Fiere, Coppe Italia, derby al cardiopalma, visto il gol di Pruzzo all’Atalanta, i lanci di Agostino, il doppio passo di Rudi Voeller, la corsa a testa altra di Paolo Roberto Falcao, insomma i tifosi vi sono legati per i tanti ricordi che animano gli spalti dello Stadio dei Centomila. Cambiare per ritrovare l’anima di Testaccio, però, mi sembra una contropartita straordinaria: “I have a dream”…uno stadio tutto giallo-rosso.