(Il Romanista - M.Izzi) Carissimo Mister Garcia, diciamo le cose come stanno: se alla ripresa del campionato dovesse guidare la Roma ad espugnare il campo della Juventus, lei firmerebbe un’impresa storica. E’ alla sua prima annata alla guida della Lupa e ai suoi predecessori più illustri un simile exploit non è riuscito. Partiamo da Alfred Schaffer. Con un curriculum da far paura arrivò nella capitale pronto a inanellare l’ennesima impresa (pensi Mister che da giocatore vinse i campionati ungheresi del 1917, 1918 e 1919, vinse poi un campionato tedesco nel 1921, da allenatore si aggiudicò un campionato austriaco nel 1924, la coppa d’Austria nel 1925, un campionato ceco nel 1926, due campionati ungheresi nel 1936 e 1937, una coppa di Romania nel 1939/40 … mi fermo qui ma mi creda, potrei continuare) ma a Torino, nella sua prima apparizione sulla panchina giallorossa colse solamente un secco 3- 1 (e ai bianconeri venne annullata una rete). E attenzione, la sconfitta non fu figlia di una brutta prestazione.
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Garcia, un’altra impresa ti aspetta
(Il Romanista – M.Izzi) Carissimo Mister Garcia, diciamo le cose come stanno:
La Stampa del 9 dicembre 1941 scrisse commentando quel match: «La nuova Roma ha perso allo Stadio Mussolini, ma ha perso bene. Certe volte il punteggio non conta e non sfigurare di fronte all’avversario anche quando questi è più autorevole. La nuova squadra della Roma con i giovanissimi innestati accanto ai più anziani, va discretamente bene e mostra notevoli possibilità di ulteriori miglioramenti. Lasciate ai nuovi il tempo di sommare maggiore esperienza di amalgamarsi completamente con compagni più maturi e il rudimento dell’insieme romanista aumenterà, senza dubbio alcuno. I Jacobini, gli Amadei, gli Ippoliti mostrano di possedere della classe e doti perfettibili».
La previsione è perfetta, ma persino nella stagione 1941/42, quella che vide Schaffer condurre trionfalmente la Roma alla conquista del titolo, contro i bianconeri il match si risolse sul 2-0 per i beniamini di casa Agnelli. Passo in avanti e sosta per uno dei più grandi allenatori della storia del calcio italiano, Fulvio Bernardini (Mister le sarebbe piaciuto, oltre ad essere stato in gioventù “il campione” assoluto della storia della Roma, Fulvio era un innovatore a cui da allenatore è riuscito di mettere nonla Chiesa, ma: “La Cattedrale al centro del Villaggio”, conducendo la Fiorentina a uno dei suoi due scudetti e il Bologna all’ultimo tricolore della propria storia). Arrivato alla Roma visse una stagione estremamente complicata, con una squadra assai modesta. Eppure, nonostante tutto, alla sua Roma non mancarono grandi imprese, come la vittoria contro il Milan e contro la stessa Juventus sul campo amico, vale a dire la seconda e la prima in classifica.
Quando il 30 aprile 1950 si trattò di salire a Torino, però, le cose, come scrisse Paolo Bertoldi, finirono così: «Trere seduto per terra piangeva. Maestrelli aveva le lacrime agli occhi. Nessuno quasi, imprecava e negli spogliatoi della Roma regnava un silenzio desolato. Bernardini smise di osservare la gamba malata di Risorti; venne avanti a dire: "Vi prego di comprendere la situazione, lasciamo stare in pace questi ragazzi. Sono troppo avviliti". Lo stanzone si svuotò e i giallorossi rimasero lì, a domandarsi come mai fosse sfuggita l’affermazione che sognavano. A cinque minuti dalla fine erano ancora zero a zero». Poi … i bianconeri vinceranno per 3-0.
Mister, per illustrarle compiutamente il concetto arriviamo a scomodare il più grande di tutti: Nils Liedholm. Ci sono diversi libri che lo ricordano come giocatore (immenso), allenatore (gigantesco) e uomo (inimitabile). Ebbene Liedholm di scherzetti alla Juve ne ha giocati molti e alla vecchia signora ha sfilato anche diversi scudetti …. Eppure dopo aver debuttato sulla panchina della Roma il 2 dicembre 1973, riuscirà ad espugnare Torino (al netto di tre anni d’intermezzo trascorsi al Milan) solo il 1 novembre 1981. Ci fu, è vero, un piccolo problema con un certo gol segnato da Ramon Turone, ma questa è un’altra storia.
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