rassegna stampa roma

Se il calcio non trova l’accordo arriva il commissario

È Ferragosto l’ultima frontiera per raggiungere un’intesa su quella che viene definita la «madre di tutte battaglie», ovvero la riforma dei campionati

Redazione

Sul presupposto sono tutti d’accordo, il sistema calcio non è più in grado di reggere 102 club professionistici e i recenti scandali vanno tristemente a ribadirlo: pochi soldi, difficoltà organizzative e cono d’ombra mediatico sono l’humus ideale perché attecchisca il malaffare intercettato da tante Procure, da Cremona a Napoli fino alle ultime attivate, Catanzaro e Catania. Lo scontro è sulle soluzioni: da una parte c’è un comparto sindacale (Aic e Aiac) che, legittimamente, si preoccupa dei risvolti occupazionali collegati a una sforbiciata delle squadre pro, dai 102 club ai 72 sopportabili dal sistema secondo la Figc (18 anziché 20 in A, 18 invece di 22 in B e 36 al posto delle attuali 60 in LegaPro); dall’altra c’è una struttura federale che ha un’idea precisa e già varata nella pratica, una selezione darwiniana innescata dal blocco dei ripescaggi a partire dalla prossima stagione allegato alla tassa (piuttosto salata: 500 mila euro) per un’eventuale fruizione dell’istituto.

Nel mezzo è terra di politica, si tratta e si continuerà a farlo fino al 14 agosto, termine traslato dal 30 giugno secondo proroga chiesta e ottenuta da Tavecchio. È Ferragosto l’ultima frontiera per raggiungere un’intesa su quella che viene definita la «madre di tutte battaglie», ovvero la riforma dei campionati. Già dalla prossima settimana, una volta affrontato e tamponato il terremoto in LegaPro e passato il delicato check-point delle iscrizioni (ci sono una quindicina di club iscritti senza la fidejussione da 600 mila richiesta), il presidente federale Carlo Tavecchio si metterà a lavorare per far saltare fuori un compromesso che impedisca alla riforma di sprofondare in Consiglio federale sotto il tiro dei veti incrociati (c’è, sì, il diritto di veto e ci vuole pure il 75% dei sì per farla passare).

È che siamo al punto di non ritorno: o la politica converge oppure si va dritti da Malagò perché sia il Coni a mettere mano alla riforma. Se cercando, dall’alto, una via di mezzo che possa star bene a tutti o nominando un commissario ad acta, lo vedremo. Ma è ovvio che al calcio non convenga che qualcuno decida al posto suo, questo lo sanno bene tutti quelli che stanno in consiglio: le 4 Leghe, che non sono certamente in sintonia sull’uso delle forbici, la Federazione, le componenti tecniche e gli arbitri.

Per questo dalla prossima settimana si va al nocciolo della questione. E presumibilmente il confronto tra blocchi, Tavecchio e Assocalciatori, verterà sui compensativi pratici per i tanti lavoratori del pallone che potrebbero ritrovarsi a spasso: fondo di garanzia in serie A, un ammortizzatore da attivare in caso di controversie o di insolvenze dei club; l’approfondimento sulla questione del vincolo sportivo che i calciatori chiedono (da tempo) più flessibile. In più c’è una «vexata quaestio» che presenta risvolti potenzialmente molto impopolari: le indennità ai nazionali. Che Tavecchio, al suo ingresso, ha tagliato del 50% (da 4 a 2 milioni: a ogni giocatore spetta una somma proporzionale alle convocazioni) e che l’Aic vorrebbe ripristinare sui parametri precedenti. Ma se, ad esempio, De Rossi prende già oltre 6 milioni dalla Roma e, parte di essi, dovuti al fatto che veste pure l’azzurro, perché dargli ancora più soldi?