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«De Santis colpito da due coltelli». La difesa rilancia

Nei documenti in possesso degli avvocati Michele D’Urso e Tommaso Politi si parla di quattro coltellate, due a un gluteo e due all’addome ma dal lato opposto.

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Due referti medici analoghi portano acqua alla linea difensiva degli avvocati di Daniele De Santis, secondo i quali l’ex ultrà romanista sparò per difendersi dai tifosi napoletani che lo inseguivano. Le cartelle cliniche sono quelle del reparto medico di Regina Coeli e poi della struttura protetta nel carcere di massima sicurezza di Belcolle, dove tuttora si trova «Gastone». Nei documenti in possesso degli avvocati Michele D’Urso e Tommaso Politi si parla di quattro coltellate, due a un gluteo e due all’addome ma dal lato opposto, il che farebbe pensare che oltre al coltello a serramanico già repertato col sangue di De Santis, ce ne possa essere un secondo, mai trovato. 

Le ferite d’arma da taglio non compaiono nella perizia consegnata dal Racis al gip Giacomo Ebner: non erano riportate nel ricovero al Pronto soccorso. Così come la grossa e profonda cicatrice sulla fronte del 48enne accusato di omicidio volontario, che avrebbe la forma chiara del manico di una pistola. Un dato che conferma quanto sottolineato dai carabinieri: gli spari avvennero mentre De Santis lottava corpo a corpo con i tre tifosi azzurri rimasti feriti. Oltre a Ciro Esposito, che morirà 53 giorni dopo, Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito. In questa fase l’ex ultrà di estrema destra sarebbe stato colpito talmente violentemente da perdere molto sangue, prima di essere aggredito da una seconda ondata di tifosi azzurri - mai rintracciati - pochi metri più in là, all’interno del Ciak Village. 

L’identificazione dei membri di questo secondo gruppo diventa decisiva per attribuire eventuali altre responsabilità penali oltre a quelle già contestate: l’omicidio a de Santis - la perizia spazza il campo da dubbi sul fatto che abbia sparato lui - e le lesioni e rissa per i tre napoletani. Va capito, insomma, chi e quando impugnò i coltelli e gli altri oggetti usati per pestare il romanista. Ma la Digos - titolare dell’indagine - lavora anche su un altro dettaglio, la ricostruzione della matricola abrasa della Benelli 7,65 che ha fatto fuoco. Un modello non così comune: parte della sigla potrebbe bastare per risalire al proprietario e alla «storia» dell’arma.