Iniziate le interviste allo staff di De Rossi nel pieno della preparazione a Trigoria. il primo è stato il preparatore atletico giallorosso classe '67: Giovanni Brignardello, nome importante nell'ambiente al punto di aver lavorato anche con la nazionale italiana nella sua carriera ventennale in cui ha anche abbracciato la pallanuoto. Il collaboratore di De Rossi ha avuto modo di analizzare il proprio lavoro, la propria carriera per poi parlare dei metodi di allenamento in vigore oggi spendendo anche parole importanti per il tecnico romanista. Ecco le sue dichiarazioni.
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Roma, Brignardello: “Con De Rossi stima reciproca, ora serve un lavoro diverso”
Iniziamo dai primi passi della sua carriera.
“Ho quasi sempre lavorato nello sport. Sono stato per qualche anno preparatore della nazionale italiana di pallanuoto. Vivevo a Genova, dove avevo un centro di fisioterapia frequentato da diversi calciatori della Sampdoria e del Genoa, venivano lì a curarsi. Proprio sulla scorta di questa esperienza, nel 2002, poi, mi chiamò Beppe Marotta – allora direttore generale della Sampdoria – per propormi di entrare nello staff di Walter Mazzarri. Ho iniziato come addetto al recupero infortunati, con il tempo sono diventato preparatore atletico anche nel calcio”.
Ha menzionato la pallanuoto, probabilmente uno degli sport più completi e dispendiosi proprio dal punto di vista fisico.
“Completo no perché avviene in un ambiente unico, ma sicuramente unico e dispendioso”.
Qualche principio dell’esperienza nella pallanuoto lo ha mutuato anche nel suo lavoro nel calcio?
“È uno sport di squadra, uno sport di situazione, da questo punto di vista si possono paragonare, quindi partendo da una preparazione generale del gruppo. Mentre su altri aspetti sono discipline decisamente lontane”.
Nel calcio il fattore fisico sta diventando sempre più preponderante. In questo senso, il ruolo del preparatore atletico assume un’importanza maggiore rispetto al passato?
“Non la metterei da questo punto di vista. Io penso che il ruolo degli staff diventi fondamentale. Non basta solo il preparatore che lavora sulla condizione della squadra. Faccio un esempio. Un allenatore che recepisce molto bene alcuni principi generali del lavoro atletico è molto più preparatore fisico di un preparatore fisico. Se tutte le situazioni tattiche sono proposte in forma analitica, a bassa intensità, il preparatore fisico può lavorare quanto vuoi, ma non si raggiungerà mai un obiettivo soddisfacente. Se un allenatore, invece, propone stimoli con concetti tecnici importanti, tattici importanti, ma anche in un contesto di impegno fisico, questo diventa determinante nella buona riuscita del lavoro”.
A proposto di tecnico, il suo rapporto con mister De Rossi nasce dalla sua esperienza in Nazionale tra il 2016 e il 2018?
“Sì, esattamente. Ci siamo conosciuti in quel periodo. C’è sempre stato un rapporto di stima reciproca tra noi. Da lì, poi, è nato poi il rapporto professionale”.
Da calciatore che atleta era Daniele?
“Io ho conosciuto Daniele nell’ultima parte. Come tutti i calciatori, ha avuto un’evoluzione nel corso della carriera. Era un atleta di alto livello, che conviveva con alcune situazioni fisiche. Era ben conscio e attento del suo status. Ho sempre conosciuto una persona molto responsabile”.
Passando al lavoro che state facendo in questi giorni a Trigoria, com’è allenarsi in questo centro sportivo?
“Allenarsi qui è fondamentale. La proprietà con i suoi investimenti ha messo a disposizione dei giocatori un centro davvero all’avanguardia, dove non manca nulla. La struttura è importante sia per il modo di lavoro, sia per i messaggi indiretti che mandi ai giocatori. Faccio un esempio, se hai una palestra molto ben attrezzata, significa che per te il lavoro in palestra è importante. Se tu hai una zona di recupero con piscine e altre strutture di primo livello, significa che per te la fase di recupero è importante. Qui c’è tutto, di questo siamo assolutamente soddisfatti”.
Diverse società di Serie A, ormai, preferiscono iniziare la pre-season nel proprio centro sportivo, piuttosto che scegliere una località di montagna.
“Su questo aspetto della montagna c’è un equivoco di base. Intanto, l’altura deve rispondere a requisiti precisi. L’altezza deve essere almeno di duemila metri. Poi, il periodo del soggiorno. Se soggiorni in montagna, in quel periodo, hai temporaneamente degli effetti fisiologici. Temporanei, però, che poi andranno a scemare, a sparire. Per noi, che abbiamo una competizione spalmata su dieci mesi è assolutamente insignificante questo. Secondo, andando fuori non avresti a disposizione tutte le strutture e l’organizzazione che hai in un centro come Trigoria. Terzo, la prima partita a Cagliari sarà il 18 di agosto. Non penso che farà fresco… La scelta di andare o non andare in ritiro è basata su altri principi”.
Quali?
“Noi andremo in Inghilterra, però prima di andare aspettiamo che buona parte dei giocatori si uniscano al nostro gruppo per iniziare un lavoro su tutti gli effettivi. Andare in qualsiasi posto, con 8-9 giocatori non ha molto senso. Ha senso spostarsi quando la maggioranza del gruppo è riunita”.
Sul fatto che a volte ci si alleni ad alte temperature, questo problema come lo si affronta?
“Si beve di più, semplicemente. Si cerca di raffreddarsi appena possibile, di recuperare dopo le sedute in ambienti condizionati, con tutti i comfort. Agli orari da noi decisi, non si tratta di temperature insostenibili”.
Quindi, sta smontando il mito della preparazione in montagna.
“Ripeto, il lavoro in altura ha senso quando devi preparare delle competizioni che si svolgono in un determinato periodo, a breve termine. Se si prepara una maratona, la partecipazione alle Olimpiadi, potrebbe avere senso andare in montagna. Nel calcio il lavoro fisico è molto più a lungo termine”.
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