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Mancini: “Dzeko è anche un dieci. Con Smalling basta uno sguardo per capirsi”

LaPresse

Il difensore della Roma risponde alle domande dei tifosi: "Nasco come centrocampista, fino al primo anno di Primavera. Agli Allievi facevo un po’ e un po’"

Redazione

Altra puntata della rubrica che vede i giocatori della Roma rispondere alla domande dei tifosi. Oggi è la volta di Gianluca Mancini. Queste le sue parole:

Come ti stai trovando alla Roma e a Roma?

Alla Roma bene perché ho trovato un gruppo sano e forte. C’è un mix di esperti e giovani. Mi sono trovato fin da subito molto bene. Non mi è mai sembrato di cambiare squadra. A Roma molto bene perché è bellissimo dove quando posso vado in centro con mia moglie, scopriamo ogni volta cose nuove.

Il Gent…

Ci è andata bene anche se siamo arrivati secondi. Ci potevano capitare squadre forti. Loro hanno vinto il girone, sarà equilibrata e l’affronteremo con la voglia di fare bene. Ora non si può sbagliare.

Tu con Smalling, quali sono le caratteristiche che vi rendono complementari?

Tante cose. Lui sta iniziando ad imparare l’italiano. Capirsi con uno sguardo. L’inglese lo parlo calcisticamente parlando. Noi con uno sguardo ci capiamo. Lui si applica al massimo, io su questo aspetto devo migliorare molto. E’ concentrato al massimo. Sull’impostazione magari posso avere qualcosa in più io. Non bisogna parlare solo di noi, anche Federico (Fazio, ndr) se c’è da dare qualche consiglio lo fa. Il mister poi sceglie e chi va in campo sa quello che deve fare.

Chi è stato l’attaccante più difficile da marcare?

Ce l’ho in squadra ed è Edin (Dzeko, ndr). Ho giocato qualche volta contro di lui e mi ha sempre segnato. Lo vedevo come uno dei top al mondo. E’ un 9 e un 10. Non è uno che sta lì sempre al centro, varia per tutto il campo.

Qual è il primo tatuaggio che hai fatto?

Una striscia Maori che ora è tutto il braccio.

Perché vieni sempre in chiesa a Primavalle?

Sempre no (ride, ndr). Ci sono stato una volta perché tra poco mi sposerò e abbiamo fatto un corso con il prete. Abbiamo visto come faceva la messa, poi in chiesa è giusto andare, quando posso ci vado.

Che mestiere avresti voluto fare se non avessi fatto il calciatore?

La mia famiglia aveva una ditta di agricolutra e sono cresciuto là. Non era quello il mio sogno però. Da piccino avevo già quell’obiettivo di provarci e diventare calciatore, senza pressione perché non ne ho mai avute. Ho avuto la fortuna di realizzarlo.

Ti aspettavi di rendere così bene anche da centrocampista?

Nasco come centrocampista, fino al primo anno di Primavera. Agli Allievi facevo un po’ e un po’. Il mister mi ha parlato in emergenza. Ho fatto delle buone partite, ma il merito è stato di una squadra, quando un singolo riesce ad esprimersi in un ruolo non suo tanto merito va dato alla squadra. Avevo in coppia Jordan (Veretout, ndr) che correva per due. Io tappavo qualche buco, anche se con i piedi non ho paura di giocare. E’ stata una cosa nuova anche per me e mi ha dato soddisfazione. In difesa mi sento che posso migliorare ancora. A centrocampo è stata una novità, però la novità spicca quando uno fa bene. A centrocampo sopra di tanto non vado più, se c’è un’emergenza ci torno volentieri per aiutare la squadra.

Chi è il tuo migliore amico in squadra?

Spinazzola lo conosco da 5 anni e mezzo. E’ un amico non solo nel calcio. Con Lorenzo (Pellegrini, ndr), nel ritiro dell’Under 21 ci siamo presi da subito.

Come ha fatto Miki ad imparare così in fretta l’italiano?

Quando arrivò già parlava qualcosa. E’ molto intelligente.

Chi è il compagno più scherzoso?

Ce ne sono tanti. Siamo genuini, sani. Posso dire Ale (Florenzi, ndr), Antonucci che quando apre bocca ci mettiamo tutti a ridere.

E’ vero che l’inno della Roma mette i brividi?

Si. Ma anche quando entriamo in campo quando si sente i tifosi urlare. Quando sei sotto al tunnel e senti l’inno è bellissimo. E’ veramente bello, un inno così ti mette emozione.

Carbonara o amatriciana?

Carbonara.

Hai scritto a Babbo Natale?

Si, vediamo se mi porterà qualcosa (ride, ndr).