Se non si può parlare di calcio, che si parli allora di emozioni. C’è un filo sottilissimo che lega il 28 maggio 2017 al 27 novembre 2018. È il filo della condivisione, di sentirsi parte di qualcosa più grande che riunisce tutti i pezzi dandogli un ordine. Un filo tanto sottile da sembrare quasi invisibile ma allo stesso tempo così forte da essere indistruttibile. Sono passati 548 giorni dall’addio di Francesco Totti agli scarpini e all’odore dell’erba, eppure la sua è una presenza che - sul campo, per ora, perché il ruolo di dirigente deve ancora digerirlo - è ancora in grado di scatenare. Scatenare, liberare dalle catene dell’abitudine, del traffico sul Raccordo, dei problemi col figlio adolescente o con la fidanzata troppo pesante. Come quella notte contro il Torino quando riuscì a segnare due gol in quattro minuti regalando un momento probabilmente mai più replicabile.
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L’ultima magia di Totti
Ci sono corde che non hanno bisogno di essere toccate con le dita per cominciare a suonare. Sono quelle dell’anima, quelle nascoste più di tutte, quelle irraggiungibili quasi per chiunque. Non per Francesco
Già quando giocava, dove non arrivava con i piedi arrivava con la magia. E arriva ancora. E non è un caso che ci fosse lui in campo mentre la Roma si qualificava aritmeticamente agli ottavi di finale. Perché ci sono corde che non hanno bisogno di essere toccate con le dita per cominciare a suonare. Sono quelle dell’anima, quelle nascoste più di tutte, quelle irraggiungibili quasi per chiunque. Non per Totti, che è entrato sì nella Hall of Fame della Roma (se solo ci fosse il bisogno di riconoscerglielo), ma ha fatto di più: lui probabilmente lo sa - e ci piace pensare che sia così -, ma il potere taumaturgico che scatenano i suoi piedi sul prato dell’Olimpico quelle corde riescono a toccarle. E a suonare però è chi sta a guardare dagli spalti: per un attimo via le preoccupazioni, via i problemi, via la Roma che non riesce a ritrovarsi. Perché se è vero che incontrarsi è una magia, ma non perdersi è la favola, allora per questa volta scegliamo di chiudere gli occhi e addormentarci appoggiando la testa sul nostro cuscino che tante volte ci ha fatto dormire e che stasera, ancora una volta, chiameremo Francesco.
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