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Julio Sergio: “Roma-Samp il mio più grande rimpianto. Vera la rissa tra Vucinic e Perrotta”

L'ex portiere giallorosso: "La parata su Floccari nel derby è indimenticabile. La gente nella Capitale ancora mi rispetta per il professionista che sono stato"

Redazione

Roma-Lecce. Lo scontro giallorosso. Il sangue di Julio Sergio, nel corso della sua carriera, si è tinto di questi due colori, sia per la sua esperienza nella Capitale che per il suo passato in Puglia. L'ex portiere della Roma si racconta a Itasportpress ripercorrendo anche l'anno dello scudetto sfiorato con Ranieri.

Julio, Roma-Lecce è indubbiamente la tua partita, almeno nel campionato italiano.

“Sono le squadre con cui ho fatto di più. A Roma sono arrivato con la maturità di chi ha 26 anni e da sconosciuto pian piano sono riuscito a diventare titolare per più di un anno. Il Lecce, invece, mi ha preso quando ero un portiere affermato in Italia perché avevo già 60-70 presenze in Serie A. Credo che questa sia stata la principale differenza. Poi le prestazioni sono un discorso a parte perché a Lecce non sono riuscito a mostrare le mie qualità”.

Sei incappato in un gravissimo infortunio al ginocchio durante la tua esperienza salentina. È stato un problema che ha inciso tanto?

“In generale credo che l’avventura a Lecce sia stata perlopiù un’occasione personale. Mi aspettavo qualcosa di diverso. Ho fatto due anni positivi. Quindi ho avuto la possibilità di andare a Parigi, ma non sono andato. Quindi mi ha chiamato il Lecce. Era una piazza che mi piaceva e in squadra aveva moltissimi grandi calciatori. Però io non sono riuscito a esprimere il mio calcio. I tanti infortuni e altri fattori mi hanno impedito di dare al Lecce il mio contributo”.

Dunque il giudizio sull’avventura leccese è positivo?

“È stata una delle esperienze più importanti della mia vita. Ho avuto infortuni gravissimi che mi hanno tolto gli allenamenti e la possibilità di giocare. Ma ci sono cose che i tifosi non vedono, ma sono importanti per le prestazioni. Ad esempio, mia figlia era appena nata in quel periodo. Come esperienza personale è stata molto positiva, una delle più belle della mia vita. Lecce è una città fantastica e mi sono fatto molti amici. Però calcisticamente avrei voluto fare di più. Non ci sono riuscito, ma non solo per colpa mia”.

Prima hai accennato all’ipotesi di trasferirti al Paris Saint-Germain. Ora prenderesti la stessa decisione?

“No, c’era un progetto particolare legato al Lecce che mi cercava come primo portiere perché ero un profilo già affidabile. Mi voleva Di Francesco. Era la situazione che doveva andare così. Non mi pento di niente. Il Paris Saint-Germain sarebbe stato un discorso diverso. Si trattava di un prestito e avrei fatto il secondo. Mia figlia era appena nata e non parlavo il francese. Forse, con la testa che ho adesso, avrei fatto una scelta diversa, ma in quel momento è stata la decisione migliore per la mia vita. Dobbiamo sempre pensare a ciò che si fa sul momento. Forse l’arricchimento personale che ho trovato a Lecce non ci sarebbe stato a Parigi. Non c’è solo il calcio, non ci sono solo i soldi. Ci sono anche cose che non hanno prezzo”.

In Italia si parla delle difficoltà di Daniele Padelli, secondo portiere all’Inter chiamato a rimpiazzare Samir Handanovic. Tu, invece, sei stato subito all’altezza del compito a cui eri stato chiamato. Come si può essere così maturi?

“Io avevo due grandissime qualità: la forza mentale e la capacità di reazione. Non sono mai stato un portiere spettacolare, ma ero molto veloce. Non ho un’altezza incredibile per essere un portiere, ma riuscivo a fare ottime cose anche perché mi allenavo molto. La mia testa era la mia principale qualità da calciatore perché più le situazioni erano difficili e più riuscivo a esprimermi al meglio. Questo per un portiere è fondamentale”.

Non hai mai pensato almeno una volta, dopo tanta fatica, di avercela finalmente fatta?

“Se un calciatore ha questo atteggiamento sicuramente calerà presto. Io volevo sfidarmi sempre, dare qualcosa in più alla squadra e a me stesso negli allenamenti e in partita, come nella mia vita personale. Ho fatto un provino per arrivare alla Roma. Poi tre anni in cui non ero nemmeno in panchina perché ero il terzo portiere. Volevo arrivare in alto. Quando sono arrivato alla Roma, volevo cambiare squadra rimanendo sullo stesso livello o vincere con i giallorossi. Sono sempre sceso in campo con questo atteggiamento”.

Sei rimasto fortemente legato alla Roma. Addirittura oserei dire che sei romanista a tutti gli effetti.

“I miei figli sono nati a Roma. E poi il calcio in Europa, con le persone con cui ho lavorato, mi ha insegnato che lo sport esisterà sempre, ma il rispetto per gli altri va oltre a tutto. Spalletti mi ha voluto perché ha pensato che io fossi importante per lo spogliatoio. Con Claudio (Ranieri ndr.) sono riuscito a giocare e a essere importante nel campo. Quindi questo rispetto che hanno per me, anche se non sono mai stato un fuoriclasse, è molto importante nella mia vita. Non c’è un prezzo per tutto questo. Dopo tanti anni, se vado a Roma mi rispettano per il professionista che sono stato, per le partite che ho fatto, ma anche per la persona che sono. Questo è il vero valore della vita”.

A distanza di ormai dieci anni ripensi ancora a Roma-Sampdoria, la gara che vi ha negato un incredibile scudetto?

“Se c’è una partita di tutta la mia vita, in cui avrei cambiato il risultato finale, è proprio quella. Con tutto il significato che aveva quell’anno vincere lo scudetto con la maglia della Roma. Era importante per me, per la squadra, per Ranieri e per Giorgio Pellizzaro, il preparatore dei portieri. Se ho un rimpianto nella mia vita da calciatore è quella partita. Poi il calcio è meraviglioso anche per questo. Avevamo tutto per realizzare qualcosa di stupendo e alla fine ci è scivolato dalle mani…”.

Si è parlato di una rissa tra Vucinic e Perrotta negli spogliatoi durante quel match.

“È vero c’è stato un piccolo problema, ma anche in altre partite sono capitate situazioni simili. Ma quell’episodio non ha influito. Noi abbiamo fatto tanta fatica per arrivare in quel momento a trovarci in una simile posizione di classifica. Abbiamo speso tante forze dentro al campo e sono sicuro che non è stata una discussione a cambiare la partita. Eravamo tutti giocatori esperti. Abbiamo perso. Tutto il resto non c’entra nulla”.

In compenso sei stato l’uomo derby per eccellenza, con quattro vittorie su quattro incontri con la Lazio.

“Sì, è questo. Il primo derby è stato sicuramente il più importante perché in quel momento non avevo ancora piena fiducia su quello che potevo fare. Per l’importanza della partita, la parata su Mauri è stata un punto fondamentale. E poi nel derby di ritorno, che stavamo perdendo, ho parato un rigore e abbiamo vinto. Sono partite indimenticabili per me e per la tifoseria”.

Cosa ne pensi della marcia della Lazio in campionato?

“Sì non seguo tantissimo, ma vedo qualche partita. Ho visto i derby e per me c’è una differenza tra Roma e Lazio: i giallorossi vogliono essere grandi. È già una big in Europa e lo ha dimostrato qualche anno fa in Champions League. Ogni tanto questo progetto cambia e la direzione dev’essere ripresa. La Lazio, invece, è una squadra che vuole e deve ancora crescere. Quando la Roma prenderà la strada giusta, facendo 3-4 anni di fila in Champions, diventerà una big dell’Europa e sarà pronta a vincere non solo lo scudetto, ma anche una competizione continentale. Attualmente, mai dire mai, ma la squadra di Fonseca non mi sembra ancora pronta per vincere un trofeo. Vedremo tra due o tre anni”.

E se la Lazio dovesse vincere lo scudetto come la vivresti da tifoso romanista?

“Personalmente, non perché sono romanista, dubito che la Lazio possa vincere lo scudetto, ma ha i suoi meriti per aver allestito una squadra di questo livello. Gioca e si muove bene in campo. Ci sono tanti elementi che devono essere pensati per arrivare ad avere una rosa di questo tipo. Se vince lo scudetto, è perché ha fatto meglio degli altri. Ma non penso che accadrà”.

Come valuti questa Serie A? Sembra essere tornato un campionato apertissimo come ai tuoi tempi.

“Sicuramente il livello individuale dei calciatori non è lo stesso. Ci sono grandissimi calciatori, come Ronaldo. Inter e Napoli hanno grandi campioni. Lo stesso vale per la Roma. Ma il livello generale si è un po’ abbassato. Ed è un aspetto che si è riproposto negli ultimi anni del calcio italiano. Forse da due anni si è riusciti a fare qualcosa in più. Se prendi le rose che avevano ai miei tempi, Inter e Roma erano più forti. La Juventus, invece, è migliorata notevolmente”.

E ora cosa fa Julio Sergio da grande?

“Vorrai dire cosa fa Julio Sergio da grasso (ride ndr.). Ho iniziato a studiare per diventare allenatore in Brasile. E dal 2015 ricopro questo ruolo in Brasile anche se continuo a studiare per arrivare a un buon livello. Ho anche alcune aziende in cui ho investito i soldi guadagnati in carriera per poter vivere tranquillo. Lavoro tutti i giorni quando non alleno. Inizio alle 8 di mattina e finisco alle 17. Una vita normale come quella che fanno tutti gli altri. La mia azienda non si occupa di calcio, ma di investimenti. Noi aiutiamo le persone a investire i risparmi di una vita, guadagnando con gli interessi. In Brasile c’è un sistema finanziario un po’ diverso dal resto del mondo, con tasse alte. Noi ci occupiamo di questa gestione dei soldi da parte dei nostri clienti”.

Ci avevi già pensato da calciatore?

“Quando ero calciatore sono riuscito a risparmiare qualcosa, sono andato a vedere cosa ci fosse in questo settore. Ho trovato questa azienda che già esisteva. Mi hanno insegnato i segreti del mestiere, che è davvero difficile. Ho studiato e per certi aspetti mi sono ‘laureato’. Ho comprato una percentuale di questa azienda. Poi ho parlato con altri calciatori in Italia, Inghilterra e Brasile per presentare questo progetto che mi è stato mostrato qualche anno prima. Devo dire che sta piacendo a tutti quelli che lavorano con noi”.

Senti ancora qualcuno dei vecchi compagni di squadra?

“Ogni tanto mi sento con Taddei che vive un po’ in Brasile e un po’ in Italia. A volte anche con Francesco (Totti ndr.) scambio qualche messaggio. Sui social chatto con Riise e Burdisso. Sono passati tanti anni e abbiamo preso strade diverse. È normale sia più difficile sentirsi”.

Da allenatore cosa ti piacerebbe trasmettere ai tuoi giocatori?

“Ci sono due strade che ho in mente: la via in Brasile e quella in Europa. Sono completamente diverse tra loro. Devo crescere tanto tatticamente e questo è importante per me perché ho avuto grandi allenatori. Cerco di trasmettere queste cose ai miei giocatori, ma non è facile perché non è abituale in Brasile avere un calcio così tattico e intenso. Quindi ho ancora tante cose da aggiustare. E poi voglio tornare in Italia, fare i corsi a Coverciano. E poi mi metterei in discussione in Italia e in Europa, dove si gioca il calcio a più alto livello tattico. Mi piacerebbe fare il secondo di qualche allenatore per imparare e fare poi le scelte giuste in futuro”.

Ultima domanda: quali sono le tue previsioni per Roma-Lecce?

“Il Lecce sta bene. ha entusiasmo per gli ultimi risultati, mentre la Roma non è riuscita a giocare come vorrebbe il suo allenatore. Ma è pur sempre una sfida tra due squadre con ambizioni diverse. Il Lecce è una neopromossa che vuole salvarsi, mentre la Roma una big. Non penso che sarà una partita dominata dai salentini o sottovalutata dai capitolini. Sarà una buona gara. Poi il calcio è magico… Spero che la Roma riesca a riprendersi e a calmare l’ambiente”