Paulo Dybala torna a parlare. L'argentino lo ha fatto in un'intervista rilasciata a Sport Illustrated nella quale ha svariato su diversi temi: dall'arrivo a Roma, alle chiamate con Mourinho fino al possibile addio la scorsa estate. Queste le sue parole:


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Dybala: “Alla Roma grazie a Mourinho. Qui un amore che non riceverei da altre parti”
Sui primi contatti con Mourinho. "Ricordo che all'epoca volevo aspettare un po', prendermi una pausa. Ero a Torino, a casa. Un giorno uno dei miei agenti è venuto da me e mi ha detto che Mourinho voleva parlarmi. Certo, Mourinho è speciale: è un allenatore che ha vinto tutto, una persona unica. Non potevo ignorare la sua chiamata. Ma sapevo che mi avrebbe convinto, per questo ho voluto aspettare.
Sulle telefonate con Mourinho. "La prima volta abbiamo fatto una bella chiacchierata, è stata una conversazione lunga ma non ha fatto pressioni per ottenere una risposta immediata. Il giorno dopo, però, ha voluto chiamarmi di nuovo, così gli ho detto di darmi qualche ora per parlare con la mia famiglia e mia moglie. Ho parlato con loro e con la mia squadra e, una volta presa la decisione di unirmi alla Roma, gli ho mandato un messaggio dicendo: “Ci vediamo presto”. E con questo abbiamo chiuso l'accordo".
Su Tiago Pinto. "L'ho incontrato insieme a Mourinho in un ufficio di Torino. Pinto venne con la maglia numero 10. Totti è colui che ha indossato quella maglia. E' amatissimo dai tifosi, dalla gente e per quello che rappresenta per la città, ho pensato che non fosse il momento adatto per prendermi la 10. Nessuno l'aveva indossata dopo di lui, ero appena arrivato e nonostante venissi da un club come la Juventus, dissi a Tiago che per rispetto avrei preso il 21".
Sulla presentazione al Colosseo Quadrato. “È stata una delle poche volte nella mia vita in cui le gambe mi hanno tremato un po'. Giochiamo a calcio davanti a 50.000 o 60.000 persone, ed è normale. Ma vengono per assistere a uno spettacolo, per vedere la partita. Ma in quel momento la folla era lì solo per me. Non mi aspettavo un'accoglienza del genere. I tifosi mi hanno davvero sorpreso. È stato qualcosa di bellissimo, un momento unico nella mia vita e nella mia carriera. E in quel momento ho capito che avrei dovuto lavorare il doppio per restituire tutto l'amore che mi avevano dimostrato quel giorno".
Sulla finale di Budapest. "E' sempre brutto, è sempre triste perdere ma anche la sconfitta fa parte del gioco. Mi ha fatto molto male. Sono stato molto male perché pensavo che il gruppo meritasse quella coppa. Uno pensa ai compagni, alla squadra, alla gente e fa male anche per com'è andata. Però come ha detto Matic, questo è il calcio. A volte si vince, a volte si perde".
Su possibile addio la scorsa estate. “Non voglio mentire, sono cifre che fanno davvero riflettere. Ma la verità è che sono molto felice qui a Roma e anche la mia famiglia è molto felice qui. Mia moglie è una parte molto importante della mia vita e la sua felicità è anche la mia, e se chiedete a mia madre era quella che meno voleva che me ne andassi. Ho avuto una grande carriera e l'amore che sto ricevendo dalla Roma, dai tifosi del club, dai proprietari e dalla gente per strada, non so se lo riceverei altrove. Quando si mette sul piatto della bilancia qualcosa, bisogna scegliere ciò che pesa di più, ed è per questo che abbiamo deciso di rimanere a Roma".
Sulla finale del Mondiale. "Sapevo che Scaloni mi aveva mandato in campo solo per calciare il rigore. La pressione era immensa, perché o sei un eroe o un cattivo e se sbagli, tutti ti ricorderanno per aver giocato due minuti e aver sbagliato il rigore".
Sul recupero dall'infortunio prima del Mondiale. "Ero alle prese con un infortunio e mi mancavano cinque partite. Non volevo sprecare un solo giorno senza poter recuperare. Così, quando ho saputo l'entità del mio infortunio, ho parlato con le persone che lavoravano con me. Abbiamo formato un gruppo e ci siamo detti che dovevamo trovare un modo per recuperare il più velocemente possibile. Intendo quali macchinari andavano utilizzati usare, che dieta seguire? Abbiamo lavorato su tutto. Dormivo con un macchinario per essere pronto e ne avevo quattro a casa. Li usavo quotidianamente".
Sulla convocazione. "Ci stavamo allenando negli Emirati Arabi Uniti e ricordo che l'allenatore fece un discorso dicendo che avrebbe personalmente informato tre giocatori che non sarebbero stati inclusi nella lista finale perché avrebbe dovuto prendere solo 26 giocatori. Quando quel discorso finì, sapevo che avrei potuto essere uno di quei tre. Ero nervoso, pensavo di non essere all'altezza. Poi, l'ho visto camminare verso di me e ho pensato: " Sono fuori". Ma lui è venuto da me e mi ha detto: "Allenati con calma, tu resti". Credo di aver perso due o tre chili in quel momento. È stata una gioia personale immensa perché ho sentito che tutti gli sforzi e i sacrifici fatti per un mese, essendo stato meticoloso in ogni piccolo dettaglio, erano stati ricompensati. Sapevo quanto fosse alta la posta in gioco ed eravamo tutti convinti al 100% di poter vincere la Coppa del Mondo".
Sulla vittoria contro il Messico. "Vincere contro il Messico è stato uno dei momenti più importanti che ci ha dato una spinta di fiducia. Quando Leo ha segnato, e poi Enzo ha chiuso la partita, sapevamo che ci saremmo qualificati perché eravamo sicuri di vincere contro la Polonia. Il calcio è pazzesco, perché anche ai Mondiali in Russia ho fatto la mia prima apparizione contro la Croazia. Quella partita fu diversa perché eravamo sotto 2-0, mentre questa volta eravamo in vantaggio e mi sono divertito un sacco. Quando sei lì e vedi che non c'è stata nessuna partita, pensi solo: questa è nostra ".
L'addio alla Juventus. "La Juventus è uno stile di vita, e a livello professionale si cresce moltissimo, perché lì un pareggio è percepito come una sconfitta, quindi durante la settimana si lavora duro su ogni aspetto. Ascoltare leader come Buffon, Chiellini, Barzagli e Bonucci nello spogliatoio ti aiuta sicuramente a crescere. In tante partite, quando eravamo nel tunnel prima di entrare in campo, ascoltavamo gli avversari e intuivamo che molti di loro pensavano: beh, oggi perderemo, ma speriamo non di troppi gol. Questo la dice lunga sulla grandezza del club".
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