La Roma quest'oggi ha pubblicato il Draw my Life di Antonio Ruediger: un video in cui, tramite dei disegni, il difensore tedesco racconta i momenti più salienti della sua vita. Queste le parole del giallorosso:
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Draw my life, Ruediger: “I primi mesi a Roma sono stati difficili, ma ho lottato per migliorare” – VIDEO
"Avevo attirato l'attenzione di diverse squadre, ma quando si è fatta viva la Roma non ho avuto esitazioni. Questo club era la mia sfida, l'ho riconosciuta all'istante"
"Ciao, sono Antonio Rüdiger e sono nato a Berlino il 3 marzo del 1993. Mio padre è tedesco, mia mamma della Sierra Leone, ma tutta la mia famiglia è originaria dell'Africa. La squadra è composta da quattro sorelle e un fratello: io sono il piccoletto di casa. Si può dire così anche se sono alto 1,90, no? La mia non è mai stata una famiglia benestante, i miei genitori hanno affrontato mille sacrifici, soprattutto dopo essere fuggiti dalla Sierra Leone, in seguito alla guerra civile. ma hanno sempre preteso che comprendessimo il signofocato della parola dignità e che non rinunciassimo a coltivare i nostri sogni. A proposito, l'altro maschietto di casa, mio fratello Sahr, è anch'egli un calciatore, ha indossato la maglia del Borussia Dortmund e delle nazionali giovanili tedesche. Il Borussia è stato anche il mio trampolino di lancio, dopo una parentesi nell'Herta Zehlendorf: a Dortmund ho giocato con le under 17 e 19, prima di trasferirmi allo Stoccarda, il club che mi ha regalato notorietà nel calcio professionistico. Dimenticavo: di mestiere faccio il difensore, Boateng e Hummels sono i calciatori a cui mi ispiro. I primi calci al pallone li ho tirati nel Vip Sperber Neukolln, un piccolo club nell'omonimo quartiere di Berlino, Neukolln appunto. Un luogo difficile della città, densamente popolato da immigrati, niente a che vedere con la zona ricca di studenti e artisti come si presenta adesso. Ma quel quartiere mi scorre dentro, è qualcosa che mi appartiene. Come le mie origini affricane: significano davvero tanto per me, hanno influenzato la mia cultura e il mio modo di essere.Sono stato a quindici anni in Sierra Leone, ma vorrei tornarci il prima possibile per vedere come vanno le cose. Il Paese ha bisogno di aiuto e io nel mio piccolo cercherò di fare del mio meglio, anches e i problemi sono di una tale portata per cui serve l'intervento di tutti. Ricapitolando: Africa e Germania, culture diverse, che rappresentano in fondo la possibilità di integrarsi, di vedere il mondo con occhi diversi. Io, che grazie ai miei amici di strada e ai compagni di spogliatoio, non mi sono mai sentito diverso. In questo intreccio di etnie, il destino ha voluto mettere lo zampino nel mio nome: se ti chiami Antonio, vuoi che non finisci a giocare in Italia? L'estate scorsa ho scelto la Roma. La mia è stata davvero una scelta: avevo attirato l'attenzione di diverse squadre, ma quando si è fatta viva la Roma non ho avuto esitazioni. Questo club era la mia sfida, l'ho riconosciuta all'istante. Tutti mi dicevano che Roma è passione, ma anche pressione: io rispondevo che un calciatore non può temere la pressione, perché fa parte del proprio mestiere. Beh, devo ammettere che qui le aspettative sono altissime e l'ambiente, quando le cose vanno male, si fa complicato. Ne ho fatto le spese i primi mesi, quando ho pagato a caro prezzo qualche sbavatura. Non ho mai pensato di mollare e le cose sono gradualmente migliorate. Le situazioni di difficoltà in fondo aiutano a crescere: a un certo punto della stagione ho avuto la consapevolezza di dover migliorare e di poterlo fare. La forza di volontà non mi è mai mancata. Nella vita, se vuoi qualcosa, devi lottare per ottenerla. E mentre continuavo ad avere iniezioni di fiducia dai compagni e dagli allenatori qui a Roma, ho potuto contare anche sulla stima del CT della nazionale tedesca, Loew. Agli Europeo in Francia vestirò con orgoglio la maglia della Germania, il Paese che mi ah visto crescere, come ragazzo e calciatore. Non sto nella pelle di potermi confrontare con grandi avversari che gareggiano in questa competizione. La vivo come una grande opportunità e come la chiusura, per certi versi, di un cerchio più grande: quello di una famiglia scappata dall'Africa, che ha vissuto anni complicati in un Paese nuovo, ma che è riuscita a integrarsi e a riscattarsi. Agli Europei porterò l'entusiasmo che ho visto crescere dentro di me in questa stagione trascorsa a Roma, ma anche i miei compagni di viaggio irrinunciabili: la musica nelle cuffione, rigorosamente black e le scarpe da ginnastica. Non so da dove nasce questa passione, ma ormai sono diventato un collezionista di sneaker! E poi chissà se troverò il tempo per andare allo zoo: mi piacciono gli animali in generale, in particolare leoni e tigri. A Roma sono stato già tre volte al Bioparco! Voglio chiudere il racconto dei miei primi 23 anni di vita con un'immagine legata all'ultima puntata disputata con la Roma allo stadio Olimpico. Mi hanno detto che sugli spalti erano presenti tantissimi bambini: beh, mi piace pensare che quando ho schiacciato in porta il pallone del 2-0 contro il Chievo, per un secondo, si siano sentiti tutti stretti dallo stesso abbraccio. Il calcio, dopotutto, può fare anche queste magie".
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