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Burdisso e i ricordi giallorossi: “Totti è un personaggio mitologico”

L'ex difensore della Roma si è raccontato parlando anche del capitano e della sua importanza

Redazione

Un rapporto di amore-odio in tante delle squadre in cui ha giocato, ora al Genoa Nicolas Burdisso sembra aver trovato definitivamente la sua dimensione. Il difensore argentino ex Roma si è raccontato in un'intervista al quotidiano ligure Il Secolo XIX, con qualche spazio a degli aneddoti giallorossi.

Lei ha detto: “Si gioca come si vive”. Una vita da capitano.

«Ho portato la fascia al braccio nell’Argentina, nel Boca Juniors. Nell’Inter in qualche partita, quando mancava Zanetti, sebbene ci fossero tanti capitani, come Materazzi, Cordoba, Toldo. Nella Roma se non c’erano Totti e De Rossi. Quindi nel Genoa dopo la partenza di Antonelli. Mi piace come i genoani si identificano con capitan Signorini. E poi Rossi. E tra le cose che mi hanno fatto scegliere di stare a tutti i costi qui, c’e un senso di appartenenza alla città. In Argentina si e un po’ perso il senso del capitano, si resta poco nei club. Il capitai poche parole, grande personalità, quasi incuteva paura. Da lui ho capito cosa significhi essere capitano. Poi visto che ce ne sono di diversi tipi».

Quali?

«Zanetti, nell’Inter, era più ragionevole, vicino a tutti, capace di ascoltare. Totti, a Roma, quasi un personaggio mitologico: leader calcistico, nel momento più importante, la partita. Poi Messi o Mascherano, con i quali a volte mi sono messo sullo stesso piano, a discutere»

Nella sua vita da capitano le capitato pure di “autoespellersi”. 

«Si, ho chiesto all’arbitro di darmi ii rosso. Ero nella Roma, a Cagliari, mi butto e non vedo l’avversario che arriva, un’entrata che vorrei dimenticare. Mi vengono tutti contro, io sul momento non so nemmeno se l’ho colpito, l’arbitro fa per ammonirmi. Poi entrambi guardiamo Daniele Conti a terra, il taglio grandissimo che gli avevo procurato, il sangue. Ho detto all’arbitro: “Dammi il rosso”. Per fortuna Daniele poi non si era fatto malissimo».

Una vita da capitano. La seconda, per la quale sta studiando, da allenatore. 

«Sono un allievo, imparo da maestri come Ivan Juric, intelligente e preparato. Prima Gasperini, Luis Enrique in cui mi rispecchiavo in pieno, Zeman, Garcia, Ranieri, Mourinho, Mancini che era un sanguigno, il maestro Bianchi, il grande Bielsa e altri. Da tutti ho appreso e con tutti, direi, mi sono anche confrontato, con pensieri diversi, apprezzando che il mio parere fosse considerato»