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Da Barcellona a Barcellona via Roma: la parabola di Luis Enrique

Ieri il trionfo nella finale di Champions a Berlino ciliegina su una torta preparata passo dopo passo in una stagione fantastica che ha consegnato al Barcellona il triplete

Redazione

"Piangevo perchè non avevo scarpe, finchè non vidi un uomo che non aveva piedi". Luis Enrique lo ha adottato come suo motto, e in questo proverbio spagnolo c'è tutto l' 'hombre vertical' che Barcellona ha allevato e Roma bocciato, fino a completare la sua incredibile parabola con la Champions conquistata ieri. Un trionfo, ma non sufficiente a garantire al cento per cento che tra lui e Barcellona sia storia d'amore senza fine. Ora è come Guardiolà, lo celebrano in Spagna. Dimenticando che in fondo, per citare un altro proverbio, tutte le strade portano a Roma: anche in Catalogna non l'hanno davvero amato, almeno fino a ieri. Quando nell'estate del 2011 la Roma lo ingaggiò, a consigliarlo era stato Guardiola: Baldini lo cercava, 'Pep' era già deciso all'anno sabatico e indicò l'ex centrocampista allora allenatore del Barca B, evidentemente ancora acerbo per allenare Messi. Le ossa se l'è fatte in un anno di critiche e delusioni all'Olimpico, dove a dire il vero allenava Josè Angel, Heinze, Bojan e Borini invece di Jordi Alba, Pique, Neymar e Suarez. Eppure l'idea di gioco era la stessa, un tiki taka de noantri, segno di una coerenza che è la testardaggine dei perdenti e l'oro dei vincenti.

Ma sull'integrità morale dell'uomo, pochi dubbi anche da chi come De Rossi ne rimase vittima delle ferree regole, relegato in tribuna per un ritardo di qualche minuto. Infatti Luis Enrique è stato un anno fermo, si è aggiornato sul calcio europeo continuando a coltivare la sua passione da sportivo vero per le maratone estreme e il ciclismo, è ripartito dal Celta Vigo e poi ha raggiunto il suo appuntamento col destino: il Barcellona. "Un saluto al mio amico romanista Claudio Bisceglia, ai romanisti, alla società", ha detto dal terreno di Berlino, la Champions idealmente in mano, con il sorriso di chi non dimentica e non porta rancore. "Goditi il trionfo, te lo sei meritato: congratulazioni", la risposta via twitter della Roma. Ora però l'orizzonte di 'Luchò è altro. A dicembre a Barcellona erano certi che la lite con Messi e i diverbi con Neymar ne segnassero la fine: ma Bartomeu ha cacciato Zubizzarreta, stretto collaboratore del tecnico, e ha tenuto alle pressioni. Ora si chiede "perchè Luis Enrique dovrebbe andarsene, se ha un contratto con noi?". "Non ho idee chiare su cosa farò il prossimo anno", lo ha gelato il tecnico asturiano, 'cule" suo malgrado, carico di orgoglio ma senza i risvolti catalani.

Come dire, nel mondo Barca uno spirito libero. Talmente libero da essersi messo alle spalle il tiki taka tradizione della casa, e aver ricostruito sulle ceneri di Tata Martino proprio sul terzetto di attaccanti col quale è accreditato in forte attrito. "Il segreto di questo Barcellona - racconta un tecnico italiano presente a Berlino - sta proprio in quei tre, e non solo perchè sono mostruosi. Luis Enrique ha costruito il nuovo Barcellona su di loro, più verticale: avete visto che nel fraseggio stretto e velocissimo si cerca sempre il terzo uomo? Messi scambia con Neymar, poi cambio gioco e spunta Suarez. O viceversa". Così il Barca è diventato la creatura di Luis Enrique. Uno che ha cominciato a correre quando era calciatore e non ha più smesso, e pazienza se il mondo non gli sta sempre appresso.