Allegri e Luis Enrique, che rivincita

Non sono glamour. Non guadagnano cifre degne del Pil della Bolivia. E nella storia del calcio internazionale sono, in pratica, due carneadi. Tuttavia Luis Enrique e Massimiliano Allegri si scambieranno cordiali saluti la sera di sabato 6 giugno a Berlino. Perché in finale ci vanno loro. Certo, questa Juve e soprattutto questo Barcellona. Ma pensare ad Ancelotti e Mourinho, Guardiola e Simeone seduti in salotto davanti alla tv, ridisegna la geopolitca delle panchine europee e dunque mondiali. Stagioni incredibili per i due rookie. L'uomo di Livorno, precipitato nel mondo Juve dopo il forfait improvviso di Antonio Conte, fu accolto maluccio - per usare un eufemismo - dai tifosi bianconeri.

Poi, lentamente, ma inesorabilmente, s'è preso casa-Juve e ne è diventato il demiurgo internazionale. Storia diversa quella di Luis Enrique. Dopo le dimissioni dalla Roma, l'anno sabbatico a partecipare nelle gare di triathlon (la sua grande passione), quindi un rientro soft al Celta di Vigo, prima della scelta clamorosa del Barcellona, la sua casa d'adozione. Dopo il flop del Tata Martino, ecco Lucho. Dicono che non si parli con quei tre fenomeni là davanti; dicono che Xavi - già pronto per l'esperienza negli emirati a suon di milioni di dollari - sia rimasto su preghiera del club per fare da intermediario tra Luis Enrique - ex compagno di squadra - e uno spogliatoio scettico. L'azimuth della crisi, dopo la panchina di Messi e Neymar nella Liga a San Sebastian. Violento chiarimento tra gli interessati e da allora il Barça è stato una furia. Dicono offra solo le pettorine ai giocatori in allenamento. Cattiverie. Come sul conto - fino a qualche mese fa - dello stesso Allegri. Adesso, insieme, il magnifico errore di Baldini ai tempi della Roma e l'uomo cacciato dal Milan, saranno a Berlino, finale di Champions. La geopolitica delle panchine è davvero rivoluzionata.