Se è vero (ed è manifesto) che il calcio da tempo fatica a trovare i sacerdoti del bello, non è falso annotare che tanto, molto, troppo, se non tutto, è stato rimesso ormai alla vivacità dei tifosi. A pensarci freddamente, lo si è intuìto durante i periodi di lockdown dovuto al Covid e lo si è capito, ad essere precisi, per sottrazione, in ossequio a quella piega del reale facilmente riscontrabile in qualsiasi vita di coppia: della presenza, dell'importanza di una presenza ci si accorge soprattutto durante la mancanza, scrive Benedetto Saccà su Il Messaggero. Del resto si può ammettere in piena serenità: il calcio senza tifosi allo stadio era, è e rimarrà francamente inguardabile. A patto che ciascuno si comporti da tifoso e da tifoso soltanto, ovvio.
Il Messaggero
Stadi aperti, luci e ombre
Torna il pubblico nel derby di Roma, un'occasione di festa. Ma i cori razzisti e gli ululati hanno già macchiato il campionato
L'ultimo derby romano giocato a porte spalancate risale al 26 gennaio del 2020: finì 1-1, segnarono Dzeko e Acerbi e gli spettatori erano una cifra non incredibile ma oggi decisamente fantasmagorica: 59.902. E quindi adesso i romani avranno pesante perché leggera la responsabilità di rendere la festa... una festa. Sarebbe delittuoso questo è pacifico macchiare il pomeriggio di sport romano, tra l'altro inquadrato dalle telecamere di mezzo mondo, convertendolo in una serata a base di razzismi, ululati, quando non di violenza. E, d'altronde, come andava avvertendo un ex premier: bisogna dirselo chiaramente, questo rischio c'è.
Dopo i cori razzisti rivolti a Bakayoko e gli ululati a Kessié nella sfida tra il Milan e la Lazio, ad esempio, durante il pre-partita di Milan-Juventus un sostenitore bianconero ha insultato Maignan urlando: "Scimmia, neg...". Indecente, sì. E, giusto ieri, il giudice sportivo ha inflitto una multa di 10 mila euro all'Udinese perché l'altra sera i suoi tifosi hanno intonato cori di insulti nei confronti dei napoletani e di Luciano Spalletti. Lo sport merita di più.
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