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Il Messaggero

Il fattore Mou

ROME, ITALY - SEPTEMBER 11: AS Roma coach Josè Mourinho during the press conference at Centro Sportivo Fulvio Bernardini on September 11, 2021 in Rome, Italy. (Photo by Luciano Rossi/AS Roma via Getty Images)

Ha ricompattato una squadra fragile e riacceso una città che si era intristita

Redazione

Special in campo e con le parole. Perché fotografare meglio la gioia provata domenica sera dopo il 2-1 di El Shaarawy da un tifoso della Roma, era effettivamente difficile, scrive Stefano Carina  su Il Messaggero. Mourinho c'è riuscito: "La mia è stata la corsa di un bambino, quella di uno di 12-13 anni che inizia a sognare con il mondo del calcio". In effetti a sprintare sotto la Curva Sud c'era anche chi si è ritrovato allo stadio 20 file più in basso, il papà che a casa urlando ha svegliato il figlio che dormiva o chi ascoltando la partita per radio in automobile ha iniziato a suonare il clacson impazzito. Se non bastano tre partite per un bilancio, possono essere sufficienti per capire lo spartito, l'idea sulla quale si sta lavorando. E rispetto al recente passato, la Roma formato Mou sa essere ambiziosa, cinica, quadrata, unita, paziente e soprattutto caparbia. Al limite dell'harakiri. Tuttavia, in un lavoro di costruzione, serve anche rischiare. E allora dentro Shomurodov per Veretout a un quarto d'ora dalla fine, con la squadra stanca e metà Olimpico a chiedersi se non fosse una mossa eccessiva. E poteva realmente diventarlo se Rui Patricio non avesse detto di no a Boga, il palo non avesse respinto il tiro di Traoré e Scamacca fosse partito 10 centimetri prima. Ma «la vita è un gioco di centimetri e così è il football», raccontava Al Pacino in Ogni maledetta domenica. L'attore, nei panni del coach di Miami, li rapportava a quello americano ma rende ugualmente l'idea con il calcio nostrano. Serviva rischiare e sacrificarsi, pur di vincere. Mou è il primo a sapere che non sempre andrà così. Ma nella metamorfosi in atto, il lavoro sulla mentalità della squadra è fondamentale. Il voler pensare ad una partita alla volta e volerla vincere, a costo di perderla, non è più uno slogan. E lo si vede da come Pellegrini e compagni si approcciano all'impegno. A volte concedendo troppo, non essendo magari ancora brillanti nel gioco collettivo, in ritardo in un paio di interpreti che dovrebbero regalare lo strappo e la giocata risolutiva (Zaniolo e Mkhitaryan). Ma non potrebbe essere altrimenti. Prima del Verona, ci sarà il Cska Sofia. Una gara di secondo piano solo sulla carta: l'Olimpico viaggia verso un altro sold out legato alla capienza post-Covid. L'entusiasmo - aspettando gli inevitabili miglioramenti individuali e tattici - è il compagno di viaggio della nuova Roma. E in un campionato senza padroni, non è detto che alla fine non possa fare la differenza. Per quale obiettivo, sarà il tempo a stabilirlo.