rassegna stampa

I fermati adesso parlano: “Un capo ultrà dell’Inter dietro l’assalto di S. Siro”

Cominciano a delinearsi responsabilità e messa a punto di un vero e proprio piano militare, con ruoli ben definiti e compartimentati

Redazione

Un petardo è il segnale convenuto. Viene sparato alle 19.23, in via Fratelli Zoia, e il commando composto da un centinaio di ultrà nerazzurri, del Varese e del Nizza, istruito in precedenza, sa che è il momento di attaccare il convoglio di tifosi napoletani, come scrive Claudia Guasco su Il Messaggero.

E a organizzare il violento assalto prima della partita di mercoledì scorso al Meazza sarebbero stati i capi ultrà di tre tifoserie: i Boys, gli Irriducibili e i Viking.

Che fosse un piano organizzato era chiaro, ma con gli interrogatori di garanzia dei tre arrestati davanti al gip Guido Salvini l'inchiesta sale di livello, perché dietro l'agguato c'è l'ombra dei vertici del tifo estremo. È dal racconto di Luca Da Ros, fede Boys San, che cominciano a delinearsi responsabilità e messa a punto di un vero e proprio piano militare, con ruoli ben definiti e compartimentati: c'è chi porta le armi nel prato del giardino pubblico dietro via Novara, nascoste nei sacchi, chi accompagna la truppa sul luogo della resa dei conti.

Tutto è stato deciso nelle settimane precedenti ai tavoli del pub Cartoons di via Emanuele Filiberto, zona Sempione, e sempre da qui mercoledì sera parte la spedizione punitiva: una ventina di macchine con autista al volante caricano ciascuna quattro ultrà, destinazione via Fratelli Zoia. Altri supporter invece arrivano a piedi, tutti in ogni caso sanno dove trovare le armi per l'assalto. Bastoni, mazze, spranghe, catene e roncole, l'arsenale completo utilizzato per attaccare è già pronto quando gli assalitori arrivano nel punto stabilito per l'agguato. Si appostano dietro un muro e quando viene sparato il petardo che fa da segnale si lanciano contro il pulmino dei tifosi partenopei.

Chi ha impartito gli ordini? Dice l'avvocato Mirko Perlino, difensore di Luca Da Ros: "Durante l'interrogatorio, il giudice ha chiesto il nominativo di colui che stava organizzando, perché Da Ros ha riferito che c'era una persona che stava dirigendo l'imboscata. Ha parlato di un ragazzo dei Boys San".

Luca Da Ros è il più giovane, ha solo ventun'anni, davanti al gip è crollato e ha fatto un nome: quello di Marco Piovella, detto il Rosso, già assolto quasi dieci anni fa per il derby in cui rimase tramortito l'allora portiere del Milan Dida e leader di uno dei settori della curva interista. Luca Da Ros, dopo l'ammissione, ha ricevuto minacce sul suo profilo Facebook.