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«Io sono un italiano vero, più di certi leghisti»

(Il Romanista-C.Zucchelli) Del derby dice di non voler parlare perché «sono scaramantico». Poi però aggiunge: «Preferirei dire qualcosa dopo la partita…». Punto e a capo. Ecco Osvaldo durante la sua prima conferenza stampa

Redazione

(Il Romanista-C.Zucchelli) Del derby dice di non voler parlare perché «sono scaramantico». Poi però aggiunge: «Preferirei dire qualcosa dopo la partita...». Punto e a capo. Ecco Osvaldo durante la sua prima conferenza stampa

a Coverciano. Sorridente, sereno, racconta di assaporare attimo dopo attimo la convocazione con l’Italia. La prima, visto che finora era stato convocato soltanto in Under 21. Argentino di origine ha scelto «da sempre» l’Italia e i politici a cui questa scelta non va giù dovranno farsene una ragione: «Loro - dice riferendosi agli esponenti della Lega che avevano criticato la scelta di Prandelli - hanno attaccato anche giocatori italiani del Sud quindi queste cose lasciano il tempo che trovano. Io posso dire che mi sento molto più italiano di tanti di loro». Punto e a capo, anche in questo caso. Osvaldo, che domani sera a Pescara contro l’Irlanda del Nord è pronto all’esordio (anche se pare difficile che possa giocare dal primo minuto) racconta di come ha saputo della chiamata di Prandelli: «Ero a Roma, avevo da poco finito l’allenamento e stavo in macchina con Heinze. Quando mi ha telefonato il team manager della Roma quasi non ci credevo». Qualche minuto dopo il telefono ha squillato di nuovo, era Luis Enrique: «Mi ha fatto i complimenti, mi ha detto di essere contento per me». Perché l’allenatore sa che con la convocazione di Prandelli Osvaldo ha coronato un sogno. La conferenza parte proprio da questo.

Hai detto che essere in azzurro per te rappresenta un sogno. Calcisticamente sono cresciuto qui in Italia, lo è per questo. In Argentina non mi hanno mai dato questa possibilità. Ho fatto questa scelta tanti anni fa quando ho giocato con l’Under e il motivo è semplice: mi sento italiano. Ho una moglie italiana, i miei figlio sono nati qui ed è vero che sono argentino ma, ripeto, mi sento italiano. Prandelli ha parlato molto bene di te. Sono contento di essere qui per la prima volta, ancora mi guardo intorno e non ci credo. È tutto nuovo per me. Mi fa piacere che il mister abbia detto certe cose però è ancora presto per parlare di impiego fisso. Vediamo più avanti come andranno le cose.

Quando leggi che qualche politico dice che gli oriundi non dovrebbero vestire la maglia azzurra che pensi? Mi vieni da ridere, da quel che so la Lega critica anche giocatori italiani del Sud. Mi sento più italiano io di loro. Devi tanto alla Roma ed è evidente.

Però devi tanto anche all’Espanyol. Quella all’Espanyol è stata un’esperienza bellissima, è stata la prima squadra che mi ha dato davvero fiducia. In Italia non avevo dimostrato tantissimo negli anni precedenti, mentre appena arrivato in Spagna mi hanno fatto giocare subito e ho fatto bene. Li ringrazierò sempre per un anno indimenticabile.

Si è parlato molto della ricerca del gioco dell’Italia ma si è anche detto che questa squadra finalizza poco. Pensi di essere l’uomo giusto? Non lo so, ci sono tanti bravi attaccanti. Si sono fatti male Pazzini e Balotelli, entrambi fortissimi. L’Italia gioca bene, in Serbia abbiamo avuto due occasioni nitide e ne abbiamo sfruttata una quindi siamo stati precisi sottoporta. Io sono contento di essere qui, se mi daranno la possibilità di giocare spero di dare anche io il mio contributo.

A Firenze tu e Pazzini avete lasciato la Fiorentina di Prandelli. Adesso fate entrambi parte di questo gruppo. La vedi come una sorta di rivincita? No perché Prandelli mi sta dando fiducia. Alla Fiorentina giocavo poco perché ero giovane e avevo tanti big davanti. Magari all’epoca essendo più piccolo non me ne rendevo conto, ora sono cresciuto e vedo il passato con occhi diversi. Era normale avere poco spazio ma anche se giocavo poco la fiducia del mister c’era sempre.

Quanto sei cambiato come modo di giocare negli ultimi anni? È normale che da giovane, giocando poco, quando entravo volevo fare tutto e quindi magari giocavo da solo ed ero più egoista. Adesso sono cambiato come persona e come mentalità, non avevo pazienza e non mi rendevo conto di certe cose. Ora sono diverso, sono cresciuto e riesco a capire meglio le situazioni. Nel gioco non sono cambiato tantissimo però giocando di più migliori in campo e sei più tranquillo.

Come è arrivata la convocazione? Visto che sei in azzurro per i tanti infortuni non hai paura di essere una meteora? Spero di no. Se l’allenatore dell’Italia mi ha chiamato significa che ha fiducia in me e che non ha fatto una scelta a caso. È vero che sono qui per un’emergenza ma credo comunque che sia un buon segnale che lui abbia pensato a me. La convocazione? Ho finito l’allenamento con la Roma quando mi hanno chiamato e mi hanno detto che dovevo venire qui. Quando il team manager della Roma me l’ha comunicato non ci credevo.

Ti senti favorito per giocare visto che il ct ha detto che hai le caratteristiche della punta moderna? Spero di avere qualcosa in più rispetto agli altri. Io però devo ancora dimostrare tutto, non ho fatto neanche un minuto con l’Italia. Lavorerò duro per convincere il mister a richiamarmi. Mi sto godendo questi giorni e al futuro non ci penso nemmeno.

Che ambiente hai trovato? Bellissimo, i ragazzi sono tutti simpatici. Alcuni già li conoscevo dai tempi della Fiorentina e dell’Under 21, i grandi mi hanno accolto benissimo.

Passando alla Roma: stai pensando al derby? I compagni te ne hanno parlato? Sì, ma io per scaramanzia preferisco non parlane. Vorrei parlarne dopo la partita...

Quando ti è arrivata la convocazione che ti ha detto Luis Enrique? E Totti e Perrotta? No, io in realtà stavo andando a casa. Ero con Heinze in macchina e lui era contentissimo per me. Mi ha detto: «Vai, vai». Luis mi ha chiamato per farmi i complimenti.

In Nazionale hai avuto un predecessore importante come Camoranesi che ha vinto un Mondiale. Lui non ha mai cantato l’inno: tu hai mai parlato con lui? E hai mai pensato di affrontare un giorno l’Argentina? Ho parlato con lui visto che abbiamo un bel rapporto ed era contento per me. Spero di affrontare un giorno l’Argentina, significa che farò ancora parte della nazionale italiana. Adesso stiamo parlando troppo del futuro, io preferisco godermi questi giorni. L’inno? Io lo cantavo già nell’Under, per me non è un problema. Rispetto quello che ha fatto Camoranesi ma per me è diverso. E spero che agli italiani faccia piacere.

Che tipo di attaccante pensi di essere? Non mi piace parlare delle mie caratteristiche. Nell’Espanyol facevo la punta centrale classica, ora nella Roma mi sto adattando a questo nuovo ruolo. All’inizio partivo largo, adesso mi sto accentrando un po’ di più perché me lo chiede il mister. Per ora va bene perché riesco a fare quello che mi chiede l’allenatore. Qui in Nazionale si gioca in modo simile alla Roma visto che in giallorosso non siamo più larghi come nelle prime partite.

Colpisce molto la tua serenità. Magari non lo dimostro, ma dentro di me ho tante emozioni. Si parlava molto del mio carattere ma erano discorsi fatti a caso perché prima di parlare bisognerebbe vedere i risultati in campo. Io ero tranquillo anche prima perché alla Roma ho sempre avvertito la fiducia di società, allenatore e compagni.

Dove eri quando l’Italia ha vinto il Mondiale nel 2006? E cosa provavi quando vedevi gli Azzurri? Tifavo sempre per l’Italia così come tifo sempre per l’Argentina, non lo nascondo. Nel 2006 ero con la mia famiglia in Argentina ed ero contentissimo per l’Italia e per il mio amico Camoranesi. Come nasce questo rapporto? Ci parliamo spesso. Da quando giocavamo contro ci siamo scambiati le maglie, poi il numero... Mi è sempre piaciuto come giocava. Adesso è nel Lanus, che è la squadra del mio quartiere.

All’Espanyol ti chiamavano il killer: ti piace? Sì (ride, ndr). Cosa pensi del campionato italiano? C’è un attaccante che apprezzi in maniera particolare in Italia o all’estero? Il campionato italiano sta migliorando molto perché le squadre hanno più rispetto per il gioco e cercano sempre di fare un buon calcio. Prima invece si diceva che in Italia il gioco non era aperto, come ad esempio in Spagna. Il Milan e la Juve stanno andando bene, anche il Napoli e la Fiorentina giocano bene a calcio. Attaccanti? Mi piace molto come finalizza Higuain, guardo molto il suo gioco visto che ogni volta che tira in porta fa gol.

Chi è l’allenatore che ti ha dato di più? Zeman, sicuramente. Spero mi venga a vedere a Pescara, con lui ho imparato tantissimo. Anche con Prandelli ho imparato molto, anche se adesso è brutto dirlo e i miei compagni mi prenderanno in giro (ride, ndr). Zeman mi ha insegnato i movimenti in attacco.

Dei tre gol con la Roma il primo, quello contro il Siena, è quello che ti ha fatto sentire meglio? Sì per un attaccante il primo gol è sempre più difficile perché devi sbloccarti. Anche se l’ho fatto a porta vuota per me è stato importante visto che da quel momento sono stato più libero mentalmente.

Te l’ha fatto fare Borriello che è quello a cui hai levato il posto. Levato il posto no... Giochiamo tutti, anche con lui abbiamo giocato insieme. Mi ha messo un pallone ottimo e sono contento che sia in squadra con me.

Hai esultato con il gesto delle orecchie... Ho sentito un po’ di cattiverie, soprattutto dei giornalisti (ride ancora, ndr)