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Baldini: “Zeman? Applauditelo, ha cambiato credo per valorizzare Totti”

(La Stampa – G. Boffo) – Fuori da Trigoria una scritta: «Rega’ sverginamoje il campo». Rega’ sono i giocatori della Roma, sverginamoje è quello che è, il campo è il nuovo stadio della Juventus.

Redazione

(La Stampa - G. Boffo) - Fuori da Trigoria una scritta: «Rega’ sverginamoje il campo». Rega’ sono i giocatori della Roma, sverginamoje è quello che è, il campo è il nuovo stadio della Juventus. Dentro Trigoria nessuno ha voglia di sverniciare proclami, nè l’umore giusto. «Una vittoria, una sconfitta, due pareggi. È poco per le potenzialità della squadra e dell’allenatore, stiamo disperdendo un patrimonio di entusiasmo. Un peccato», ammette Franco Baldini, direttore generale della Roma born in the Usa.

Dimentica il 3-0 a tavolino di Cagliari.

«Ribadisco: abbiamo vinto una sola partita, a San Siro con l’Inter».

Però in classifica avete tre punti in più.

«Ho fatto quello che imponeva il mio ruolo, non volevo rendermi complice di un atteggiamento arbitrario e arrogante. La notte prima, in compenso, ho chiamato il direttore generale del Cagliari e il capogabinetto del Prefetto per vedere se c’erano margini per giocare. Altro che avvoltoio».

Per essere allenata da Zeman, è una Roma poco zemaniana.

«Dategli tempo. E poi c’è Totti: lui non ha le caratteristiche della punta tipica del tridente di Zeman. Quindi complimenti all’allenatore che sta valorizzando un giocatore formidabile, anche a costo di rivedere il proprio credo».

Zeman contro la Juve. I nemici e le battaglie del boemo sono anche i nemici e le battaglie della Roma?

«Non è Zeman che fa le battaglie. È Zeman a essere cercato perché possa dire qualcosa che somigli a un grido di battaglia».

Anche per lei Conte avrebbe dovuto farsi da parte dopo la squalifica?

«Dico che i regolamenti vanno rispettati. Se consentono a Conte di allenare durante la settimana, allora alleni. A bocce ferme, si potrà discutere se certe norme meritino di essere cambiate».

Lei è un grande nemico di Luciano Moggi. Calciopoli ha lasciato delle scorie nei suoi rapporti con la Juve?

«I rapporti sono buoni, non è un segreto che anni fa la proprietà mi abbia persino chiamato. In passato i miei problemi con chi rappresentava quella Juve nascevano da uno stato d’animo di ribellione contro l’arroganza e l’abuso di potere.Mi hanno persino tolto il piacere di tifare per una squadra italiana nelle Coppe».

Perché non accettò la proposta dei bianconeri?

«Perché ero la persona sbagliata nel posto sbagliato. Per 4-5 anni ci siamo scontrati in Lega Calcio sui diritti tv, loro li volevano soggettivi, la Roma di Sensi, la mia Roma, era per la collettivizzazione. Lavorare per la Juve significava ammettere che in tutti quegli anni avevo detto solo stupidaggini ».

A Torino non sarà una serata complicata solo per Zeman.

«È vero, ma che faccio? Rinuncio ad andarci? Se oltre al rispetto della gente perdo quello di me stesso, allora è finita».

Definisca la gestione di Andrea Agnelli.

«Vincente. Da noi, più che altrove, chi vince ha sempre ragione. Ed è un peccato perché tra le pieghe di un mancato successo si perdono di vista tante cose interessanti. Ad esempio il tentativo di portare un contributo alla cultura sportiva di questo Paese, una cultura che non esiste».

Tutto bello ma senza risultati in campo non teme di finire schiacciato dall’etichetta di Don Chisciotte?

«È un rischio che corro, essere dileggiato e infangato da chi vuole conservare lo statu quo. Prevengo l’obiezione sul mio coinvolgimento in Passaportopoli, da non responsabile per la giustizia sportiva e ordinaria, ma è vero che si diventa quello che si è anche grazie agli errori. Dipende dall’uso che ne fai. Uno dovrebbe stare zitto per sempre perché nel 1952, faccio per dire, ha fregato un vasetto di marmellata? Se il sistema non ti piace provi a cambiare le cose».

E se non ci riesce torna a Londra. Vero?

«Solo voci. Il fatto che per una qualche combinazione chimica o astrale a Londra abbia avuto delle possibilità, che la mia compagna viva lì, tutto questo proverebbe che la tentazione esiste ed è grande. Ma qui a Roma ha depositato il mio cuore e per estirparmi ce ne vuole. Magari qualche corteo sotto casa al grido: “Vattene, per favore”».

Aver chiamato Luis Enrique è stato un suo errore?

«Sì, un magnifico errore. Quando è venuto qui era già stanco del calcio, dovreste conoscerlo, Luis vive la professione in maniera totalizzante. Lo sapevo e ho sbagliato a sedurlo. Ma è la persona che avrei voluto essere e non ci sono minimamente riuscito. Libero nelle opinioni e di esprimerle, incapace di cedere alle convenienze».

E lei quando ha ceduto?

«Ad esempio rispondendo alla chiamata della Juve. Ero fuori dal giro da un anno, mi sentivo un disadattato».

Se anche Zeman si rivelasse un magnifico errore?

«In quel caso qualcuno mi presenterà il conto o me lo presenterò da solo».

Perché la Roma è dietro la Juve?

«Loro hanno fatto grandi investimenti, hanno preso giocatori pronti subito, noi da crescere. E poi l’abitudine alla vittoria, la Juve ne percepiva la mancanza come una condizione dolorosa, e questo ha prodotto una forte determinazione. La Roma non è abituata alla vittoria e nemmeno le manca, probabilmente ».

Un guaio per gli americani.

«Siamo noi che gli abbiamo chiesto di tornare a vincere, per favore, e il più in fretta possibile. Non possiamo lamentarci dei soldi che ci hanno messo a disposizione ma l’obiettivo è l’autosufficienza finanziaria».

Insomma il famoso progetto.

«Insieme a tante iniziative. Allo stadio le nostre partite possono essere seguite dai non vedenti attraverso un sistema audio, abbiamo un settore riservato solo alle famiglie, la fidelity card è diventata un modello. E poi niente biglietti omaggio ai politici».

A proposito, in quanti hanno protestato?

«Mi chieda piuttosto in quanti non lo hanno fatto».