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Largo ai giovani

(La Repubblica – M.Crosetti) La memoria del tifoso va tarata su nuovi parametri e nuove facce.

Redazione

(La Repubblica - M.Crosetti) La memoria del tifoso va tarata su nuovi parametri e nuove facce. Perché anche le grandi squadre si stanno levando un bel po’ d’anni, non solo le provinciali che puntano sul vivaio. E se il Pescara è la squadra più giovane del campionato (età media 23,8) mentre il Chievo è la più vecchia (28,8), seguita dalla Lazio (28,7) e dal Napoli (28,3), la gioventù è ormai un’idea da scudetto: Juve e Milan “ventiseienni”, ancora meglio l’Inter (25,9) e soprattutto la Roma (24,2): a ben guardare è un doppio segno di Zeman, nel Pescara che lascia e nella Roma che trova. Nel 2011-2012, la serie A era il secondo torneo più vecchio d’Europa, peggio di noi solo Cipro.

Oggi, invece, si può dire che tutte le squadre abbiano almeno un ragazzino al quale affidarsi. Molti di loro sono già titolari o stanno per diventarlo, anche perché parecchi ultratrentenni se ne sono andati, quasi sempre strapagati, lasciando posti liberi. Gli sceicchi sono gli altri, quelli veri, e non è detto che sia un male. Esiste una “spending review” pure in campionato, anche se forse ci siamo mossi un po’ tardi. Da noi, comunque, i cam- pioni stranieri non vengono, e se possono se ne vanno: non ce li possiamo più permettere. E se un ventunenne come Fabio Borini va dalla Roma al Liverpool per 18 milioni di euro, se un talento luminosissimo come Marco Verratti, 20 anni, passa dal Pescara al Paris Saint Germain, cioè dalla B italiana a un colosso europeo che ha in mente di vincere tutto, molti loro colleghi rimettono in equilibrio queste dolorose anomalie.

L’uomo mercato dell’estate 2012 non è un brasiliano e neppure un inglese, ma un ragazzo di 21 anni che si chiama Mattia Destro e vale 16 milioni: ha giocato nel Siena, è stato riscattato dal Genoa, giocherà in prestito oneroso nella Roma. E lo volevano in tanti, dalla Juve all’Inter. Italiani o stranieri, purché con meno di 25 anni: la regola sembra questa. I nomi sono tanti, alcuni già affermati, altri in attesa di esserlo. Non passeranno inosservati Lorenzo Insigne (21 anni, Napoli) e Ciro Immobile (22 anni, Genoa), e neppure Manolo Gabbiadini (21 anni, Bologna). Non deluderanno Astori (25, Cagliari) né Schelotto (23, Atalanta), e neppure Andrea Poli, il regista (23 anni) appena tornato dall’Inter alla Sampdoria allenata da Ciro Ferrara, ex tecnico dell’Under 21, altra gioventù anche tra chi insegna calcio, un po’ come Stramaccioni all’Inter. Ma per essere davvero nuovi, bisognerà dare più spazio ai cosiddetti “club-trained players”, come li chiama l’Uefa. Si tratta dei calciatori dai 15 ai 21 anni che abbiano giocato almeno per tre stagioni nel loro club di appartenen- za: in Spagna sono il 24,7 per cento, in Italia appena il 7,4 per cento, e va da sé che anche in questa graduatoria siamo agli ultimi posti. Tuttavia, in attesa del campionato l’elenco delle novità è corposo e comprende talenti sicuri come Fabbrini (22 anni, Udinese), El Shaarawy e De Sciglio (ventenni del Milan), Asamoah (24, Juventus), senza dimenticare che un veterano come Sebastian Giovinco ha appena 25 anni, e il suo ritorno alla Juve è attesissimo.

Ritrovarsi meno ricchi e dover rincorrere la chimera del fair-play finanziario sono due motivi dell’inversione di tendenza: la serie A è schiacciata da due miliardi e mezzo di debiti (più 14 per cento rispetto al 2011), è ancora in parte sporcata dallo scandalo delle scommesse e continua a tenersi in piedi grazie ai diritti televisivi (560 milioni solo da Sky). Se no trova risorse nei vivai, è destinata ad un’eclisse progressiva. Senza Ibrahimovic (20 milioni), Thiago Silva (42) e Lavezzi (30), il campionato avrà pure perso fascino e un po’ di peso specifico a livello tecnico, ma il Milan ha raggiunto il pareggio. I giovani sono una risorsa, un’occasione da sfruttare bene. E poi costano meno: la serie A 2012-2013 ha già tagliato il 15 per cento di stipendi rispetto alla passata stagione, apprestandosi a chiudere il mercato con un attivo globale di 13 milioni di euro; si pensi che i nababbi inglesi hanno un disavanzo di 230 milioni, anche se possono contare su 3,7 miliardi di euro dalle tivù fino al 2016. In quanto a debiti, però, non li batte nessuno, un po’ come in Champions League. Invece la Liga spagnola, sebbene ricchissima di fenomeni, è a un passo dal fallimento. Nell’ultimo mercato italiano, 169 giocatori sono stati ceduti a una cifra complessiva di 664 milioni di euro, a fronte di un risparmio sugli ingaggi pari a 495 milioni.

Di sicuro non siamo più i “ricchi scemi” d’Europa, forse perché non siamo più ricchi e basta. La classifica di spesa all’ultimo mercato è stravinta dal Paris Saint Germain (la proprietà sta in Qatar) con 140 milioni di euro, davanti al Chelsea (80). La Juve, cioè il club che in Italia ha speso di più, è a 46 miliardi, una decina in più della Roma. Le “rose” della serie A sono più giovani e smilze: Berlusconi ha preteso solo 22 giocatori in prima squadra, e ha dichiarato di essere stufo di spendere una cinquantina di milioni a stagione per il suo Milan. L’abbassamento dell’età media equivale poi a una netta sforbiciata del monte-ingaggi. Il calciatore più pagato del campionato era Ibrahimovic, con i suoi 12 milioni di euro netti all’anno: partito lui, in cima alla classifica salgono Buffon, Sneijder e De Rossi con 6 milioni, tantissimi, ma pur sempre la metà dello svedese. E si tratta di contratti che non verranno più avvicinati da nessuno. Gli altri ricconi della serie A sono Totti (5,2 milioni), Milito (4,5), Pato (4) e Pirlo (3,5). Nessuno di loro, come si noterà, è un ragazzino: storie sportive e stipendi fanno ormai parte del passato, al limite di un presente sempre più breve. In confronto, la giovane stella Mattia Destro guadagnerà nella Roma un milione e mezzo all’anno più i bonus, non una miseria ma una cifra in linea con i tempi del nostro calcio. Tempi più poveri di denari, ma forse non meno ricchi di possibilità.