rassegna stampa roma

Kevin, l’arte della potenza

(Il Romanista – D.Giannini) – Una bella partita. Spettacolare ma anche equilibrata, in bilico nel risultato fino all’ultimo. Questa è stata Roma-Napoli, tutta Italia ha applaudito le due squadre per lo spettacolo che hanno dato.

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(Il Romanista - D.Giannini) - Una bella partita. Spettacolare ma anche equilibrata, in bilico nel risultato fino all’ultimo. Questa è stata Roma-Napoli, tutta Italia ha applaudito le due squadre per lo spettacolo che hanno dato. E che se la siano giocata a viso aperto ma anche con tanta tecnica lo confermano i numeri della sfida raccolti da Opta. Cifre molto simili, a partire da quella dei tocchi di palla (642 per la Roma, 651 per il Napoli), a seguire con i passaggi (432 a 451). E ancora le palle recuperate (47 a 50), i contrasti (12 a 12), gli intercetti (14 a 12), le verticalizzazioni (161 a 156), i lanci (49 a 52), le giocate utili in area avversaria (17 a 18).

In un equilibrio del genere basta poco a fare la differenza. Per la Roma l’ha fatta Gervinho, giustamente celebrato come di gran lunga il migliore in campo. Ma l’ha fatta anche Kevin Strootman con quel missile sparato da 30 metri. Il giorno dopo (ma anche appena terminata la partita) sui social network si sono scatenate le battute ispirate da Garcia che l’ha definito “una lavatrice”. Perché se gli arrivano dei palloni sporchi lui li fa uscire puliti dai suoi piedi. Il passaggio dalla lavatrice allo “scaldabagno” che ha tirato verso la porta di Reina è un attimo. Dopo Roma-Napoli, a caldo, ancora nella pancia dell’Olimpico in zona mista, ai cronisti che gli riferivano dei complimenti di Garcia lui rispondeva con un sorriso e poche parole che la dicono lunga sul personaggio Strootman: «It’s my job». «E’ il mio lavoro» niente più e niente meno. Grande professionalità, serietà infinita. Ma non seriosità. E c’è una differenza enorme. Perché Kevin il duro in campo, il ragazzo con la mascella volitiva, quello che per gli avversari è meglio girargli alla larga, non è per niente un musone. E’ uno che con i compagni scherza di continuo, uno che non ha faticato a inserirsi nella nuova realtà. Così differente, ad esempio, da Stekelenburg che era rimasto un corpo estraneo, che la nostra lingua non la parlava affatto. Kevin è differente, lui dal primo giorno si è messo sotto per avere dimestichezza con l’italiano. Tanto per dirne una, degli stranieri è forse quello che passa più tempo con Claudio Bisceglie, il traduttore giallorosso con il quale i nuovi arrivati possono fare delle lezioni di lingua.

L’italiano lo capisce ormai benissimo e con i compagni lo parla. Solo nelle interviste preferisce ancora usare l’inglese. E in inglese ha parlato anche nel dopo Roma- Napoli ai microfoni della Rai raccontando il motivo per il quale ha scelto di vestire il giallorosso. Una spiegazione semplice, perché la Roma è la società che lo ha cercato con forza. Gli altri club? «Mi volevano? L’unica che mi ha voluto davvero è stata la Roma. Solo sui giornali i grandi club mi hanno avvicinato. La Roma è un grande club, da bambino guardavo le partite, tutti avevano una maglietta, inutile dire quale». Quella del capitano, quella di Francesco Totti. E ora Kevin ci gioca accanto, ci scherza insieme. Così diversi e in un certo senso così simili, perché parlano la stessa lingua calcistica. Quella dei fuoriclasse. Uno usa il piede destro come un goniometro per mandare in porta Gervinho, l’altro trasforma il piede sinistro in una mazzafionda. C’è tanta bellezza in quel bolide. C’è lo sbuffo d’acqua che esce dal pallone compresso all’inverosimile dal suo piede, c’è l’altro sbuffo quando la palla entra in rete. Ha ragione Garcia, Kevin è una lavatrice che pulisce i palloni sporchi. Ma è una lavatrice particolare, che ha dentro di sé l’estetica pura. E’ arte contemporanea.