rassegna stampa roma

Quale «cantera» se andrà via anche l’ultimo baby talento?

Lettera aperta al Presidente Pallotta "Perchè mandare via tanti bravi ragazzi cresciuti all'ombra del Colosseo?"

Redazione

E se anche Alessio Romagnoli dovesse lasciare definitivamente Trigoria e il profumo di Roma? Vede, signor presidente Pallotta, probabilmente lei che non è nato e cresciuto in questa città, non riesce a comprendere il rammarico che provano i tifosi giallorossi.

Deve capire: questi ragazzi sono nati calcisticamente all’ombra del Colosseo e qui la gente li ha visti progredire, migliorare, diventare dei campioni in erba. Non è possibile che una volta «esplosi» si debbano vendere, nemmeno la Roma fosse una squadretta di provincia che quadra il bilancio con queste operazioni. I «nostri gioielli» dobbiamo tenerceli stretti, non li possiamo mandar via.

Purtroppo, è una moda che non è più recente. Cominciò con Spinosi, un difensore fortissimo venduto alla Juventus; poi, si continuò con Peruzzi, uno dei più grandi portieri che l’Italia abbia avuto, ad essere ceduto perché qualcuno aveva messo in giro voci assolutamente false. Così, la Roma perse per anni un guardiano che l’avrebbe potuta fare star tranquilla per almeno tre lustri. Poi, toccò ad Aquilani, un altro ragazzino della «cantera» romanista, creato e modellato da Bruno Conti.

Ad un certo punto, un mister venuto dal Sud America (un certo Carlos Bianchi) mise in dubbio l’infinita classe di Totti e il capitano fu ad un passo dalla cessione. Vogliamo continuare? Certo. Ricorda la favola di Alessandro Florenzi? Ceduto al Crotone per poi essere riacquistato di corsa. La dirigenza ha deciso di disfarsi di Bertolacci, trigoriano di ferro, e adesso c’è la possibilità che anche Romagnoli cambi casacca. No, presidente. Così non va. Si mandano via sicuri campioni del futuro per prendere chi? Ashley Cole? Oppure Astori? O ancora Spolli? La prossima volta che sbarca a Roma, si faccia una passeggiata per Testaccio e la Garbatella ed avrà una risposta a quelli che sono i nostri dubbi. Anzi, le nostre certezze.