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Calcioscommesse, Tavecchio: “Non si può sempre offendere il calcio per fatti che non lo competono”

Il presidente della Figc difende il calcio, poi constata amaramente: "Nell'80 le alfette entravano negli stadi, nel '90 altre scommesse, nel 2006 Calciopoli. Siamo un popolo monotono anche nel delinquere"

Redazione

Un'altra bolla del calcioscommesse esplode e il mondo del pallone nostrano trema ancora. Giorni poco felici per i vertici della Figc, in primis per Carlo Tavecchio. «Il Coni ci dirà quali sono le procedure più semplici che deve applicare la giustizia per intervenire subito e bloccare queste situazioni - ha detto il presidente del calcio italiano - Non siamo un organo di polizia ma siamo un organo di organizzazione di spettacolo e sport. Siamo servi di tutti ma schiavi di nessuno»

Di chi sono le responsabilità? Degli individui che hanno fisicamente compiuto il misfatto, o anche di chi, ai vertici del sistema sportivo, si occupa di governarlo? Tavecchio deflette le accuse e protegge la sua creatura: «Il calcio è socialità, una componente determinante nel sistema politico italiano non lo si può sempre offendere per fatti che non ci competono. Abbiamo monitorato sempre le scommesse e la Lega Pro ha segnalato a chi di dovere».

Dopodiché attacca: «Trenta società hanno fatto delle porcherie. Ma vi ricordo una monotonia ridicola del Paese: nell'80 le alfette entravano negli stadi, nel '90 altre scommesse, nel 2006 Calciopoli. Siamo un popolo monotono anche nel delinquere». Infine ammonisce: «Tra 10 anni ci saranno altri casi uguali se non cambiamo il sistema, se non creiamo formazione, obiettivi e indirizzi, che si fanno con progetti e la Lega Dilettanti di cui rivendico questa filosofia da sempre ha fatto questa politica»