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Sarri, Allegri, Mazzarri e Spalletti: la Roma guarda alla Toscana. Ecco come giocherebbero

Iacopo Erba

 

Maurizio Sarri non è tecnico da mezze misure. Manifesto vivente dell’importanza della gavetta, ha costruito pezzo dopo pezzo il suo credo calcistico sviluppandolo sulla base di idee innovative e sporadiche illuminazioni. Vincente con riserva, in grado di alzare trofei oltre le tante avversità affrontate sia al Chelsea che alla Juventus: di certo, tra gli allenatori più discussi e divisivi degli ultimi anni.

Su un apparentemente classico 4-3-3 si sviluppa un modo di giocare per certi versi unico, sorretto da alcuni pilastri chiave. Discriminante fondamentale è la qualità in cabina di regia, sorretta da mezze ali dinamiche e incisive in fase d’attacco. Gli esterni offensivi sono chiamati a dialogare molto, aiutati dal pensiero e dalle caratteristiche associative dell’attaccante centrale, costruttore oltre che finalizzatore. Nella fase difensiva atteggiamento aggressivo e muscolarità, soprattutto da parte dei due centrali. In sintesi, un mix diffuso di coraggio e qualità.

L’impostazione di Sarri sembra sposarsi abbastanza bene a quelle che sono le caratteristiche del parco giocatori della Roma (la sola eccezione si individua in Mkhitaryan, che ha dimostrato sul campo di preferire una posizione più centrale). Nessun dubbio anche sulla sua capacità di lavorare in piazze complicate, vista la stagione dei record confezionata nella schizofrenica Napoli. Molto più critico il tema del rapporto con la squadra: Sarri non è un gestore e non ama costruire da sé il rapporto con i giocatori. Nel bene e nel male, assioma del prendere o lasciare.

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