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Il 2020 da 0 a 10: Micki in 4K e la luce dei Friedkin contro l’eredità di Pallotta e l’Olimpico deserto

Francesco Balzani

LA LUCE DI DAN E RYAN FRIEDKIN

"Il mio nome è Friedkin, Dan Friedkin”. Nell’anno della scomparsa di Sean Connery, lo 007 per antonomasia, ci piace immaginarlo così il texano dallo sguardo severo e i vestiti eleganti nel momento del suo sbarco a Trigoria. Da quel giorno, era il 9 settembre, Friedkin e suo figlio Ryan non hanno mai abbandonato la Roma. Nemmeno per un minuto, neanche per andare al bagno tanto per edulcorare un celebre verso di De Gregori. L’hanno curata, risanata, coccolata ma senza nasconderle i difetti. E ce ne sono ancora. Dan e Ryan non hanno rilasciato interviste, non hanno utilizzato quel gergo americano fatto di grandi sogni e immense promesse, non hanno parlato a sproposito. Ma hanno ascoltato, e si sono sentiti di ridare al popolo di Roma parte delle loro mancanze. Non tutte ancora, per carità. Ma hanno mostrato empatia, dote non comune per chi non conosceva nulla o quasi di questo ambiente. Non sappiamo se faranno Grande la Roma come era ai tempi di Dino Viola o Franco Sensi. Ma di sicuro hanno fatto risentire grande il cuore di una tifoseria che ancora non li ha potuti applaudire (o contestare) di persona. Intanto hanno allontanato chi c’era da allontanare, si sono interessati personalmente di mercato e di scelte dirigenziali. Ci sarà tempo per tutto il resto, ma ora è tempo di riconsegnare alla Roma anche quel trofeo che manca da un decennio.

 Getty Images

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