Perché è Mourinho direbbe qualcuno. E in effetti la possibilità di diventare la squadra più longeva della carriera del tecnico che ha vinto 26 trofei è quasi un vanto. Ma non è solo questo. Perché Mourinho uno di quei trofei l'ha vinto qui e un altro l'ha solo sfiorato per colpa di Taylor. Roba di 7 mesi fa, non una vita. Lo Special One ha portato risultati insperati in Europa, mai visti da queste parti. Ha valorizzato giocatori che una volta andati via hanno mostrato tutte le loro carenze: da Ibanez a Zaniolo passando per Tahirovic. E attirato quei pochi big che altrimenti non sarebbero arrivati: Abraham, Dybala, Matic e Lukaku. La sua sola presenza attira media, sponsor, amici e nemici. È il centro nevralgico di un club che non ha dirigenti di spessore e che fatica a trovare una stella che metta d'accordo tutti. La sua di stella è seguita da tanti: squadra, staff, tifosi. Quelli che riempiono l'Olimpico da due anni e mezzo a questa parte. Quelli che lo osannano e sanno che una Roma senza Mourinho sarebbe sicuramente più noiosa. Perché Mou ha incarnato lo spirito romanista della sua gente, ha condotto battaglie e ne ha vinta pure qualcuna. E poi c'è il bilancio, e questo non può sfuggire ai Friedkin. Le tre voci di principale miglioramento portano ai ricavi portati dallo stadio (sold out appunto), plusvalenze (e torniamo ai giovani lanciati) e cammino europeo. Tutte voci riconducibili al lavoro di Mourinho. Che nonostante le difficoltà di una rosa corta e malata era quarto in classifica fino alle 18,30 di domenica scorsa. Mou è cambiato, oggi non è più solo il tecnico dei top player. Ha dimostrato di saper lavorare coi giovani e di saper stimolare quei calciatori che prima viaggiano su binari mediocri: da Mancini a Cristante passando per lo stesso Smalling. Averlo meno arrabbiato e meno pretenzioso è un lusso che nessun club ha mai avuto.
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