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Due giugno, il declino della Repubblica romanista: dal sogno Batistuta all’incubo Zaniolo

Venti anni fa l'annuncio dell'arrivo del Re Leone. Ora il mancato passaggio di proprietà da Pallotta a Friedkin mette a rischio i gioielli

Francesco Balzani

Il 2 giugno non è una data normale. Per gli italiani ovviamente, ma pure per i tifosi romanisti. Vent’anni tondi tondi fa, infatti, il presidente Franco Sensi ufficializzava l’acquisto di Gabriel Omar Batistuta per 70 miliardi assicurando uno stipendio di 14,8 miliardi lordi a stagione al campione argentino. Una spesa da qualcuno considerata folle, da tanti un gesto d’amore estremo che portò nella capitale l’attaccante considerato tra i tre più forti al mondo in quel momento. Di sicuro la chiave utile a conquistare il terzo scudetto e a tramutarsi in forbice per scucire il tricolore dalla maglia della Lazio. Era il 2 giugno 2000 e il comunicato dell’acquisto di Batigol arrivò alle 19,53 tramite un’agenzia Ansa. La frustrazione per lo scudetto laziale si tramutò in tripudio di speranza manifestata qualche giorno dopo nella presentazione del Re Leone allo stadio Olimpico. Oggi, che il rischio scudetto bianconceleste è (ahinoi) ancora alto, il motivo di speranza non è rappresentato dall’acquisto di un campione ma dalla mancata cessione di uno dei pochi gioielli rimasti in rosa che risponde al nome di Nicolò Zaniolo. Una parabola discendente che ha scatenato la rabbia dei tifosi (lo dimostrano gli striscioni apparsi all’Eur) e che evidenzia la fine dei sogni romanisti nati vent’anni proprio in quel caldo giugno del 2000 quanto tutto sembrava possibile. Anche l’arrivo di un certo Batistuta che voleva mezza Europa e che aveva giurato amore eterno alla Fiorentina. Oggi Zaniolo prova a fare lo stesso, ma sa che non basterà l’amore. Dalla Juve al Psg passando per Manchester United e Liverpool la fila al supermarket Roma è già lunga anche se distanziata. D’altronde che a Trigoria da qualche anno si compri bene (da Salah ad Alisson passando per Marquinhos o Emerson Palmieri) è storia risaputa.

Le cause della mancata cessione da Pallotta a Friedkin 

La rottura totale (e che ormai pare insanabile) tra James Pallotta e Dan Friedkin per la cessione del club mette in seri guai i propositi d’ambizione del club giallorosso. Nonostante i buoni propositi del presidente di Boston, infatti, il bilancio a fine mese parlerà chiaro e tuonerà un passivo a tre cifre che va subito risanato. Non basterà l’aumento di capitale da 42 milioni, né l’eventuale ingresso di nuovi sponsor (di questi tempi poi…). Servirà tagliare stipendi, limitare i costi e soprattutto cedere asset tecnici. Tradotto? I giocatori con maggior mercato. Per evitare di perdere Zaniolo e Pellegrini chi farà il mercato della Roma (Baldini? Petrachi? De Sanctis?) sarà chiamato ai salti mortali e a trovare plusvalenze per tutti: da Schick a Under passando per Florenzi, Olsen, Kluivert o Juan Jesus. Impresa titanica, anche se non impossibile. Eppure la cessione a Dan Friedkin avrebbe risolto quasi tutti i problemi. Il magnate texano avrebbe pagato 125 milioni di euro al closing e altri 52 milioni di euro entro sei mesi dalla firma. Oltre a ciò si sarebbe impegnato in una iniezione di liquidità pari a 85 milioni entro la fine del 2020. Ulteriori 300 milioni sarebbero serviti per la chiusura del prestito obbligazionario. Arrivando ad un’offerta da 575 milioni che, inevitabilmente, considera gli effetti della recessione internazionale causata dal Covid-19. Pallotta ne sarebbe uscito meno ricco? Forse. La Roma ne sarebbe uscita meno debole. Colpa anche dei ritardi decisionali di Pallotta come riporta oggi La Gazzetta dello Sport.

Il club a fine 2019, prima di completare la “due diligence”, era stato valutato circa 700 milioni. Dopo aver visto i conti, la prima offerta di Friedkin era stata di 660 milioni (che avrebbe consentito a Pallotta & Soci una plusvalenza di 30 milioni), condizionata però all’esito del mercato di gennaio, che doveva prevedere almeno le cessioni di Pastore e Juan Jesus. Fallito l’obiettivo, a metà febbraio Friedkin abbassò l’offerta a 610 milioni. Il tergiversare di Pallotta, però, fece scorrere i calendario fino ai primi di marzo, con lo scoppio della pandemia e il relativo stop. Per la Roma, nessun precontratto era stato firmato, perché si sarebbe andati direttamente alla firma. Il resto è storia nota, con lo scambio frenetico di mail dal 10 al 28 maggio sull’asse Marc Watts (per Dan) – Bob Needham (per Jim) e l’ultima offerta di 575 milioni (di cui però 85 messi nel club) conclusa dal messaggio diretto fra i due magnati che sanciva la rottura.