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ROME, ITALY - MAY 03: AS Roma coach Luis Enrique during an AS Roma training session at Centro Sportivo Fulvio Bernardini on May 3, 2012 in Rome, Italy. (Photo by Luciano Rossi/AS Roma via Getty Images)
Gianluca Curci, ex portiere della Roma, ha rilasciato una lunga intervista a Fanpage.it, in cui ha ripercorso alcuni dei passi più importanti della sua carriera. L'estremo difensore ha raccontato le emozioni dell'esordio in giallorosso e l'orgoglio di giocare insieme a dei campioni come Totti. Ecco le sue parole.
Mai sentita la solitudine del numero uno? “In ogni momento. Io dico sempre che – per un portiere – son tutti avversari, anche i tuoi compagni, perché l’errore è sempre dietro l’angolo, per cui tu ti devi far trovare sempre pronto. Hai capito con che stress addosso giocano quelli come noi?”
E chi è stato particolarmente tuo nemico? “Tutti, indistintamente. Magari ci sono momenti in cui credi di essere più tutelato e, poi, proprio lì capita l’errore e ti fai fregare. Quello che posso dirti, però, è che quando avevi davanti Samuel, Chivu, Panucci, Mexes, Juan, c’erano meno probabilità che questo succedesse”.
C’è un errore di qualche compagno che, invece, ti ha davvero sorpreso e al quale non sei riuscito a rimediare? “Non mi sarei mai aspettato che Totti sbagliasse un calcio di rigore, quello no, ma è successo pure questo. Incredibile (ride, n.d.r.). A parte gli scherzi, di errori se ne commettono tanti in una partita, non mi sembra il caso di citarne uno in particolare, anche perché – appunto – ne ho commessi anche io talmente tanti, che faccio fatica a ricordarmeli”.
A proposito di Samuel, Chivu, Totti e la Roma: tutta la trafila del settore giovanile, da tifoso giallorosso e, poi, l’arrivo nello spogliatoio dei grandi. Che emozione è stata? “Indescrivibile, da far tremare le gambe, ma davvero. Ho pensato di svenire. Guardavo il Capitano e pensavo di sognare. Mi chiedevo: “Porca miseria, ma io che ci faccio qui?”. Poi, piano piano, ci fai l’abitudine, ma all’inizio è stata davvero dura, mi sembrava di volare…”.
E come sei stato accolto? Qualche consiglio del Capitano? “Francesco è un ragazzo molto tranquillo, quasi timido, che non parla tanto. È un leader, ma con il comportamento più che con le parole. Sono stati tutti gentilissimi con me e, te lo assicuro, non era scontato, né me lo sarei aspettato. In particolare, ricordo il primo ritiro e la prima amichevole. Prima di entrare in campo c’era inevitabilmente un po’ di tensione: Emerson se ne deve essere accorto ed è venuto verso di me: “Tranquillo – mi ha detto – sei forte, fai quello che sai e andrà tutto bene. Noi siamo qui con te”. Un altro che fin da subito mi ha sommerso di consigli è stato Samuel, tanto duro con gli avversari quanto disponibile con i compagni, soprattutto i più giovani. Quando qualche ragazzo in ritiro entrava in maniera scomposta, perché magari stanco, Walter lo difendeva e se la prendeva con i compagni più esperti se si arrabbiavano”.
L’esordio all’Olimpico credo sia un ricordo indimenticabile… “Beh, sì, ovvio. Il mio sogno è sempre stato quello di giocare in Serie A, farlo con la maglia della Roma era un qualcosa di neanche immaginabile. Ho saputo che sarei partito titolare due ore prima della partita, quando Mister Delneri ha dato la formazione: “In porta gioca Curci”. E io: “Cosa? Non ho capito” (ride, n.d.r.). Era il 19 dicembre, abbiamo vinto 5-1 contro il Parma ed è una partita che è entrata nella storia per il record di Francesco Totti, che in quella gara ha segnato e raggiunto i 107 gol, diventando il miglior marcatore della storia della Roma. Diciamo che mi ha impreziosito l’esordio”.
In quella squadra c’era anche Cassano: qualcuna delle sue “cassanate”? “Antonio è un ragazzo fantastico, un pezzo di pane, solo che ogni tanto gli si “tappa la vena” e non capisce più niente. Ricordo che una volta Spalletti voleva fare una seduta tattica e lui gli fa: “A’ Mister, non hai capito, qui non si fa tattica”. E Spalletti, serafico, lo ha mandato via. Che spasso”.
Hai incrociato anche un giovane De Rossi, si vedevano le stigmate del campione? “Si vedeva che aveva qualità e carattere, quello sì, ma soprattutto era evidente la leadership. Era un giovane-vecchio già allora, per quello non mi stupisce vederlo ora allenatore. Credevo facesse un po’ più di gavetta, ma quando ti chiama la Roma non puoi dire di no. Su di lui avrei scommesso”.
Nel 2011 torni a Roma e trovi Luis Enrique, che ricordo hai di lui e che effetto ti fa vederlo ora a questi livelli? “Già allora si percepivano la sua qualità e la sua determinazione. Non guardava davvero in faccia nessuno, chi non si allenava bene, stava fuori. Era tanto intransigente e il gruppo veniva prima di tutto. Ai tempi pensavo che fosse quasi esagerato, che potesse essere un difetto, ma adesso dopo due Triplete posso dire che forse aveva ragione lui (sorride, n.d.r.). Gli ho visto preferire Okaka a Totti, oppure lasciar fuori De Rossi per un ritardo di pochi minuti alla riunione tecnica. Grande personalità. E, poi, con lui ho imparato a giocare con i piedi. Prima, mai nessuno mi aveva chiesto di farlo, era avanti anche in quello”.
Quali sono stati, invece, i derby più belli? “Il primo, ovviamente, anche se è stato quello “della paura” del 2004/2005. Sia noi che la Lazio eravamo in zona retrocessione: è finito 0-0 e – per un portiere – va bene così (sorride, n.d.r.). Quello più bello è stato quello del 2006, quello dell’undicesima vittoria consecutiva. Vincere il derby, facendo un record, è stato qualcosa di meraviglioso”.
L’emozione più grande della tua carriera? “Sicuramente la vittoria della Coppa Italia 2006/2007. Arrivati a Fiumicino c’erano più di diecimila persone ad aspettarci, tanto che non riuscivo a trovare il pullman. Mi ha caricato un tifoso su un “pandino”, eravamo in cinque, non so come abbia fatto, ma è riuscito a portarci fino al bus della squadra”.
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