rubriche

Nuove mass, vecchi media

(di Paolo Marcacci – ForzaRoma.info) Subito dopo il brindisi, la riflessione. Tutti incollati alla radio o saltabeccando da un sito all’altro o, opzione più probabile, con entrambi i mezzi a disposizione, fino a notte fonda.

Redazione

(di Paolo Marcacci - ForzaRoma.info) Subito dopo il brindisi, la riflessione. Tutti incollati alla radio o saltabeccando da un sito all'altro o, opzione più probabile, con entrambi i mezzi a disposizione, fino a notte fonda.

E' così che abbiamo quasi fatto l'alba, tra sabato e venerdi scorsi, per attendere le prime, agognate parole di DiBenedetto da presidente, pur contemplando gli obbligatori passi normativi che mancano perché si possa definire veramente concluso l'affare.

Durante l'attesa, snervante per chi era a Boston, in studio o a casa, abbiamo però già avuto un assaggino di futuro o, meglio, di come qualcuno sta tentando di organizzarcelo, dal punto di vista dei media e della comunicazione della "nuova" Roma; una società che al momento può vantare tanti aspiranti addetti stampa e coordinatori della comunicazione, che sono aspirazioni anche normali in un momento storico durante il quale si consuma una fase di passaggio che, oltre ad un cambio di proprietà, dovrebbe preludere ad una nuova era, da ogni punto di vista, per ciò che riguarda la Roma e tutte le sue valorizzazioni, a cominciare dal marchio.

Tutte cose che passano per l'ottimizzazione di una politica mediatica, su questo c'è unanimità. Il paradosso, o nota stonata che dir si voglia, è che sin dalla nottata (per chi si trovava a longitudini nostrane) della firma e delle prime parole dello Zio Tom da presidente, abbiamo avuto il sentore che le logiche di tutti coloro che aspirano a sovrintendere alla politica comunicativa della Roma che verrà siano ispirate a logiche vecchissime, settarie e anche ad una discriminazione di fondo che, proprio nel momento in cui il calcio italiano si apre ad una managerialità mai sperimentata in precedenza, puzzano di passatismo, tutela dei nuovi (ipotetici) orticelli e di mentalità veramente piccina, piccina in maniera inversamente proporzionale a quanto è grande l'America.

Non è per buttarla in retorica e farcire il nostro punto di vista di luoghi comuni, ma è ridicolo, più che paradossale, che nel momento in cui nel calcio italiano fanno il loro ingresso dei manager provenienti dalla terra della meritocrazia e delle occasioni per tutti, la comunicazione che dovrebbe veicolarne le potenzialità tenti di chiudersi nel condominio delle esclusioni degli sgraditi e nella vecchia modalità del fare "capanze", come dicevano le nostre nonne, cioè tentare di scegliere in maniera settaria quali siano i buoni e quali i cattivi dell'informazione, intesa a vari livelli.

La Roma che dovrà, augurabilmente, vendere magliette in tutti i continenti, valorizzare simbolo e storia, esportare se stessa, corre forse il rischio di vedere la propria dimensione comunicativa imprigionata da una mentalità "italiota", più che italiana. Ma pensa te. Abbiamo, però, la pressoché totale certezza che certe tendenze non troveranno campo e non attecchiranno: innanzitutto perchè da quelli che sono i primi segnali ci sembra che certi tentativi siano condotti in maniera piuttosto maldestra; in secondo luogo perché agli americani certe logiche non piacciono, sono per loro del tutto aliene; ma soprattutto, perché il pubblico, a Roma, è sempre più sovrano e sempre meno condizionabile; magari sarà a volte frastornato da troppi input, tra di essi antitetici, ma alla fine pretende di poter scegliere, senza veti o indirizzamenti di sorta. Come piace agli americani, ad esempio