(di Paolo Marcacci - ForzaRoma.info) Questa non è la celebrazione rituale di una scomparsa, anche se a rifletterci bene sono trascorsi già diciassette anni, da quel trenta maggio del 1994.
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La nostra memoria, il tuo risarcimento
(di Paolo Marcacci – ForzaRoma.info) Questa non è la celebrazione rituale di una scomparsa, anche se a rifletterci bene sono trascorsi già diciassette anni, da quel trenta maggio del 1994.
Questo è uno sfogo alla nostalgia per un'epoca in cui il calcio, di certo già malato, viziato e pesantemente condizionato, ancora produceva uomini così. Che erano certamente rari, anche all'epoca, ma non ancora mosche bianche, come al giorno d'oggi potremmo definire Francesco Totti, per i suoi valori non solo tecnici e la sua umanità.
Ai tempi di Agostino Di Bartolomei, si poteva parlare di uomini, ancor prima che di calciatori, proprio perché nelle maglie della rete di un sistema che già era sistema si potevano ancora insinuare storie ed esempi come i suoi, o come quello di Gaetano Scirea e non intendiamo parlare degli epiloghi tragici e diversamente maledetti, no: intendiamo parlare dell'esempio, lasciato sul campo e proseguito fuori. Vorremmo confidare ad un tifoso infinitamente più giovane ed ignaro di chi potesse essere definito, fino a venticinque anni fa, un vero centrocampista (o libero, all'occorrenza), quello che noi avevamo il privilegio di vedere, ogni domenica e nei tecnicamente lussuriosi mercoledì di coppa: quale fosse la qualità del piede, cosa volesse dire contare i giri del pallone, che significato avesse all'epoca il termine "fondamentali", che oggi si è talmente svalutato e ridimensionato da aver quasi acquisito un altro significato.
Dunque, non intendiamo, come appunto accade di rito, tornare a cavalcare la mitologia dell'uomo ombroso ed introverso e tentare per l'ennesima volta la diagnosi del suo ultimo gesto: oggi vogliamo ricordare un giocatore dal piede fantastico e dall'intelligenza tattica superiore, che gli permetteva di sopperire a limiti dinamici dei quali nessuno si è mai accorto in anni di assist al millimetro e calci di punizione nei quali potenza e precisione si rincorrevano alla velocità della luce fino all'angolo più in ombra di un angolo di porta. Un giocatore che poi, quando esultava, metteva soggezione per quella specie di cipiglio e quella riservatezza che neppure l'urlo di un Roma-Avellino a un passo dal Paradiso riuscirono mai a cancellare del tutto.
Era un esempio sin dallo scambio dei gagliardetti, Agostino Di Bartolomei e giocando con la fantasia,ma prendendo a pretesto una realtà decretata dalla storia, ci piace immaginare un passaggio di testimone che arrivi a quello stesso senso di appartenenza, aumentato dalla militanza e dalla sola maglia giallorossa vestita in carriera, che proprio Totti oggi alimenta, in maniera più scanzonata e sorridente, ma con la stessa intensità, oggi ancora più rifulgente perché attorno tutto è cambiato e legami così indissolubili tra un giocatore e dei colori sociali sono rimasti solo sugli almanacchi, oltre che a Roma e in poche altre piazze al mondo. Se si fossero conosciuti, ci piace pensare che sarebbero andati d'accordo, che i loro diversi caratteri si sarebbero completati, perché in fondo accomunati da un sostrato di grande limpidezza, morale e calcistica.
Se ancora parliamo di Di Bartolomei in questi termini, se intravediamo un filo giallorosso che, riguardo a certi valori, è arrivato fino a Totti, è perché il segno che ha lasciato è stato più forte della momentanea dimenticanza, della superficialità, della distrazione. In questo senso, la nostra memoria è il suo risacimento.
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