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Under 19, brillano le stelline. Da Faticanti al muro Dellavalle: l’orgoglio Italia

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Abbiamo ragazzi che sanno giocare e soffrire, e il calcio italiano ora dev’essere bravo a non farli appassire
Redazione

L’Italia Under 19 è campione d’Europa, ha superato il Portogallo che 10 giorni prima l’aveva battuta 5-1, ha alzato una coppa che non vincevamo da 20 anni ma soprattutto ha fatto capire al Paese che al futuro si può guardare con ottimismo, scrive Giulio di Feo su La Gazzetta dello Sport. Abbiamo ragazzi che sanno giocare e soffrire, e il calcio italiano ora dev’essere bravo a non farli appassire.

C'è Alessandro Dellavalle (classe 2004) che ha messo fisico e tenacia in mezzo all’area contro Barbera e Ribeiro, crema di Spagna e Portogallo. Faceva coppia col cugino Lorenzo, con cui condivideva sogni e speranze a Carignano: Lorenzo è alla Juve, lui viene da un anno da baluardo della Primavera del Toro dove si è messo in luce come uno dei migliori centrali del nostro panorama giovanile. Il master in difesa gliel’ha fatto Scurto, duro dietro quando giocava, e ha margini di crescita che Juric monitorerà. Buongiorno insegna: al Filadelfia nel suo ruolo si può far carriera.

Poi c'è Pio Esposito (2005) che è come un centroboa della pallanuoto: riceve palla, lo raddoppiano, sgomita ma sa sempre a chi darla. Arte imparata da Dzeko negli allenamenti in prima squadra con l’Inter, ma anche figlia di buoni piedi che su un fisico top sono un valore aggiunto. Leader di centrocampo è il giallorosso Giacomo Faticanti. Ha fisico e tecnica. Mourinho avrà preso appunti: Faticanti (2004) è uno di quelli su cui punta e sarà stato contento di averlo visto sempre più coinvolto, leader, capitano nella manovra e a parole. Come Esposito ha giocato anche il Mondiale U20, bravo Bollini a gestire le energie dei reduci senza farli scoppiare. Ha fisico, tecnica e rapidità di pensiero, è cresciuto col mito di De Rossi e dopo aver saltato le prime due ha preso le redini della mediana azzurra. Bove insegna: i tuttocampisti non sono mai abbastanza.

Poi Cher Ndour (2004). Il suo fisico spesso è bastato quello per vincere duelli, toccare palle su cui altri non arrivavano, far sentire la sua presenza e diventare imprescindibile in mediana. Nuovo nel gruppo, molto coinvolto, l’imprinting con Luis Enrique a Parigi sarà uno spartiacque cruciale per il suo futuro. Verratti insegna: se il Psg ti prende anche se non hai messo piede in A, vuol dire che ci crede. Nell’avventura azzurra Samuele Vignato (2004) ha mostrato il suo lato guerriero: sa sacrificarsi, correre, aiutare. Raffaele Palladino, che quest’anno a Monza gli ha concesso 55 minuti di campionato, avrà certamente apprezzato. Che poi sia un talento di quelli magici si sa da tempo: il coast-to-coast con assist a Hasa che ha steso la Polonia nel girone, il gol alla Spagna, il martellamento a cui ha sottoposto lo strombazzato Fresneda, palla a lui e ti diverti. Kvaratskhelia insegna: non importa dov’eri e che facevi l’anno prima, keep calm e salta l’uomo.