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Anatomia di Mou, pifferaio magico che miete successi e vittime sacrificali

Anatomia di Mou, pifferaio magico che miete successi e vittime sacrificali - immagine 1
Luke Shaw ebbe a dire di lui: "Distrugge i suoi giocatori, non so perché lo fa, ma è così"

Redazione

Ci risiamo. La barca fa acqua? Si butta a mare qualcuno. È un metodo, ancora prima che una necessità. Metodo Mourinho, scrive Giancarlo Dotto su La Gazzetta dello Sport. L’altare di José è un rosario di successi ma anche di vittime sacrificali.

Sangue innocente? Irrilevante. Sangue utile alla causa. Ieri Rick Karsdorp (non nominarlo è stato un modo raffinato per nominarlo alla massima potenza), nel recente passato la colonna infame del disastro norvegese, prima ancora i vari Casillas, Pogba, De Bruyne, tra gli altri. Luke Shaw ebbe a dire di lui: "Mourinho distrugge i suoi giocatori, non so perché lo fa, ma è così".

Mou è un uomo decisamente intelligente. Quasi sempre piacevolmente intelligente. Solo gli uomini intelligenti possono fare torto alla propria intelligenza. Succede anche a lui. Succede, per lo più, quando un intelletto raffinato si combina a un ego smisurato (nel senso letterale, non misurabile). Il narciso fa torto alla propria intelligenza, la confonde, la spreca, l’affoga. L’uomo intelligente trova il suo scacco allo specchio. La psiche del narciso è elementare, banalizza la complessità dell’intelligenza, la rende prevedibile.

Mou ama i suoi giocatori nella misura in cui loro amano lui. Ama la loro dedizione, che è una dedizione verso di lui prima ancora che verso la squadra, i tifosi o se stessi. Mou è un mago nel generare transfert. Gente disposta a morire per lui. Il suo potere d’impollinazione è enorme. Mou replica se stesso all’infinito. Sta generando a Roma migliaia di transfert. Li potete vedere ogni domenica in festa all’Olimpico.

Le cose non vanno o balbettano? Sta facendo a Roma dei tifosi quello che fa con i giocatori, li divide. Non si esce dalla polarità con il Pifferaio Magico di Setubal. Se proprio non ce la fai ad amarlo, non ti resta che odiarlo. Molti degli allenatori che fingono di abbracciarlo in campo, godono inverecondi delle sue sconfitte. Come capotribù, Mou tende all’harem, a costituire intorno a sé un microcosmo inviolabile di fedelissimi e di concubini. All’esterno del quale pullula il mondo esteso dei nemici. La sua vocazione da sultano è esplicita. La prova? Il suo torace. Come può contenere senza esplodere in mille pezzi tanto amore e tanto odio? Non puoi farcela se non hai la stoffa del sultano.

L’inquietudine attorno al personaggio si scatena puntuale quando non arrivano i risultati sotto forma di domanda: perché le sue squadre giocano così male? Domanda, altrimenti, tenuta in cantina. Guardate ogni sua benedetta conferenza stampa: la spettacolare padronanza del gioco, il dominio sugli interlocutori (“Quante domande ancora?”…).

Mou domina gli interlocutori, ma è un uomo felice solo quando realizza di avere un gruppo ai suoi piedi.  Il suo ego esulta e crea allora le premesse della debacle. Anche perché Mou considera insostenibile e anche un po’ miserabile ogni esercizio di autocritica. Offensiva la sola ipotesi. Ammettere i propri errori? La deriva degli uomini deboli. Si fa solo mimetizzandoli nella ruota del pavone. Mou è troppo. Si fida troppo di sé, della devozione dei suoi samurai, allo stesso tempo è troppo in balìa del suo narcisismo. Non dubita.

Alla sua età non se ne esce. Difficile. Ci vorrebbe un colpo di genio. Che non sempre si accoppia all’intelligenza. Dovrebbe affidarsi a qualcuno che sappia moderarlo.

Non è possibile che una squadra con le ambizioni, le risorse, i tifosi della Roma, debba ogni volta rassegnarsi a così grandi bruttezze, assistere a incongruenze non giustificabili a nessun livello.

José, hai avuto tutto dalla vita, sei il migliore. Non fartelo bastare. Invita te alla nuova sfida, dopo averlo fatto con i tuoi calciatori. Credere a sessant’anni alla possibilità di diventare un uomo e un allenatore ancora migliore.