Fine della prima parte di stagione. Conclusioni: strano, sembra di essere arrivati piuttosto alla fine di un’epoca, scrive Enrico Sisti su La Repubblica. Più che mai adesso è forse utile ricordare che quando si parla di Roma, esistono sempre due piani di lettura. Esiste l’aspetto emotivo, che è insindacabile: un patrimonio di passione che non si estingue né s’intacca, gente che riempie lo stadio anche senza andarci.
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La passione non basta se solo Dybala “vede” la porta
L’altro aspetto, l’altro piano di lettura, segnala tuttavia un dramma: la Roma non tira in porta, non gioca a calcio e se lo fa gioca un calcio tutto suo, a modo suo, confuso, sporco, a tratti disperato, privo di movimenti coordinati. Il piano di lettura della realtà dice, in pratica, che in venti minuti, contro il Torino, Dybala ha tirato in porta, vedendola, più volte di quanto non abbia fatto la Roma, senza di lui, in più di un mese. Non si può nascondere un dato così macroscopico. Senza Dybala la Roma non ha percezione offensiva dello sport che pratica.
Con Dybala si anima tutto. E non è possibile che funzioni così: perché così, con un solo uomo che “vede” la porta e con un altro che, nei pochi istanti che gli sono concessi, se non altro ci prova (El Shaarawy), di fatto non funziona niente. Passione, sold out e zero tiri. Dove si va a finire?
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