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L’effetto Serra e Fabbri scelti. Non è provincialismo, è la solita storia

L’effetto Serra e Fabbri scelti. Non è provincialismo, è la solita storia - immagine 1
Il torto di lesa maestà non è stato perdonato a Mourinho, e quindi alla Roma

Francesco Balzani

C’era un tempo in cui i torti arbitrali diventavano uno dei pochi momenti in cui la tifoseria si compattava. Erano i tempi della Roma di Viola, e di quella di Sensi. In parte anche quella di Pallotta (chi dimentica il 3-2 allo Stadium?). Per vincere in quei casi bisognava dare il doppio, bisognava superare gli ostacoli, bisognava sopperire a quel divario evidente con le big del Nord. Non è piagnisteo o provincialismo, è storia.

Come calciopoli, come il gol di Turone, come le scuse postume di alcuni elementi della classe arbitrale per lo scudetto tolto a Spalletti. Scuse, appunto. Che servono a poco soprattutto se posticipate di anni. Magari nel 2030 sentiremo quelle di Serra che ha innescato una nuova reazione a catena (dubitiamo). Il torto di lesa maestà non è stato perdonato a Mourinho, e quindi alla Roma. Così come non erano state perdonate le battaglie di Dino Viola, le denunce di Zeman, le lamentele di Totti.

Puntualmente arrivava la bastonata. Che oggi si chiama Fabbri, nomen omen. O Pairetto al var, di nuovo nomen omen. La gara di oggi col Sassuolo può rievocare arcaiche critiche e punti di vista più o meno condivisibili: a Dybala non si deve rinunciare, a Kumbulla sì. Sempre. La verità è che basterebbe dare a Cesare quel che è di Cesare. E quindi dare il rigore alla Roma per il fallo di mano di Tressoldi (per ritrovare le immagini sfuggite a Dazn ce ne è voluto), buttare fuori Kumbulla ma pure Berardi e quindi non dare il rigore visto che il fallo del neroverde è precedente alla sciocchezza dell’albanese, evitare di ammonire Smalling e Matic per due falli che forse non erano nemmeno da sanzionare.

Insomma arbitrare bene, e visionare tutto al Var. Come accaduto poco fa col gol di Rabiot. Magari la Roma avrebbe perso lo stesso. E allora avremmo avanzato anche noi critiche e giudizi tattici, recriminazioni e battute. Nel frattempo ci parliamo addosso, magari ci dividiamo pure. Nel silenzio. Non tanto quello di Mou che ha espresso sin troppo. Ma quello dei Friedkin. Possibile che il sacro diritto alla privacy diventi un dogma intoccabile anche in momenti così?