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La resa dei sogni

La Roma non può ingaggiare uno come Conte così come in passato non ha potuto ingaggiare Guardiola, Mourinho, Allegri o Ancelotti

Francesco Balzani

No, Conte alla Roma non verrà. No, levatevelo dalla testa: nessun allenatore di “primo livello” d’altronde ha mai firmato per la Roma da quando Pallotta è presidente. E chissà se mai lo farà. Non è il pessimismo a guidarci, è la storia, è la fredda cronaca sbattuta in faccia all’alba di una gelida mattina di maggio. In quel “non ci sono le condizioni, ma un giorno…” c’è un qualcosa di deprimente, di mortificante.  Soprattutto se poi Conte dovesse accettare la proposta dell’Inter. Insomma come quando una matricola ci prova con la reginetta del ballo, lei ride e ti dice: “Sei simpatico, ma….”. Più che il rifiuto di Antonio Conte, è il motivo per cui arriva il no dopo settimane di voci, trattative e speranze. Quelle lecite dei tifosi, ma pure quelle di Tottiche più di altri ha provato a portare Conte a Roma. Senza riuscirci, e forse ingenuamente credendo a un sogno irrealizzabile.

La Roma non può ingaggiare uno come Conte così come in passato non ha potuto ingaggiare Guardiola, Mourinho, Allegri o Ancelotti. Addirittura Montella, che oggi accetterebbe di corsa, nel suo periodo di massimo splendore disse no alla campagna di cessioni proposta da Sabatini. E ora? Mourinho non è nemmeno avvicinabile, Sarri resterà al 90% al Chelsea e Gasperini perché mai dovrebbe abbandonare l’isola felice Bergamo con una Champions quasi in tasca? La paura è che possa arrivare Giampaolo. Il che vorrebbe dire avere la promessa di uscire con Belen e ritrovarsi al tavolo con Sconsolata.

A questo punto ci teniamo stretti Ranieri che chissà come avrà vissuto questi giorni di attesa. Negli ultimi 9 anni d’altronde sulla panchina giallorossa si sono seduti: due esordienti (Luis Enrique e Andreazzoli), due ex in quel momento ai margini del grande calcio (Zeman e Spalletti) e due allenatori venuti dalla provincia (Garcia e Di Francesco). Nessun top. Nessun vero sogno. Antonio Conte lo sarebbe stato. Per lui avremmo digerito l’amaro passato juventino condito da processi e dubbi leciti anche oggi nel giorno in cui ricorrono i 18 anni dallo storico 2-2 a Torino nell’anno dello scudetto (in panchina c’era un top come Capello),  per lui saremmo corsi a Fiumicino e poi all’Olimpico. Per lui sarebbero rimasti molti giocatori ormai sfiniti dall’attesa di un qualcosa - che come cantano gli Afterhours- “non c’è”. E non ci sarà mai. Qatar permettendo.