La vita, a volte, può assomigliare anche ad una favola, anche se per il lieto fine spesso capiti che svanisca sul più bello, come è successo ieri col Siviglia, scrive Massimo Cecchini su La Gazzetta dello Sport. Ma la storia non si dimentica. Così è bene ricordare come nel 2019 Dan Friedkin, magnate nato in California ma con ormai fiere radici a Houston, in Texas, abbia deciso di acquistare la Roma, forte di un patrimonio personale pari a 5,5 miliardi di dollari, che lo rendono il 14° uomo più ricco degli Stati Uniti e il 466° più facoltoso nel mondo. Da quel giorno d’estate, però, neppure il più ottimista fra i tifosi avrebbe pensato che la nuova Roma, dopo meno di tre anni di gestione, giocasse due finali europee. La Conference è stata vinta, l’Europa League invece no. Con tutti gli effetti collaterali che, a livello economico, tutto ciò porterà. La nuova proprietà della Roma, infatti, ha inaugurato un nuovo modo di portare avanti quello che è – e resta – un business. Eppure, se consideriamo anche i 199 milioni spesi per l’acquisto del club, i Friedkin hanno investito circa 750 milioni (grazie a diverse ricapitalizzazioni) per la Roma che – a differenza dei loro veri business (automobili, cinema, hotel di lusso, che fatturano circa 10,5 miliardi di dollari e impiegano circa 6000 dipendenti) – produce più disavanzi che utili. Ciò nonostante sul mercato in due stagioni sono stati spesi circa 92 milioni (più bonus) – come potete leggere nelle pagine specifiche – con il fiore all’occhiello rappresentato da Abraham, insieme a Schick il giocatore più costoso della storia del club (40 milioni). Proprio per questo la mancata qualificazione in Champions costringerà la proprietà a nuovi sacrifici, anche perché solo l’ultima giornata di campionato stabilirà quale sarà la Coppa europea che la Roma dovrà disputare.
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Una coppa, la finale, gli investimenti: la gestione Friedkin resta un successo
La mancata qualificazione in Champions costringerà la proprietà a nuovi sacrifici
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