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Roma-Lecce, L'ISTANTANEA: Lamela e il tartufo

(di Paolo Marcacci) Dentro c’è di tutto, come una calza della Befana con due mesi  di anticipo: il carbone è dolce perché il Lecce non è in grado di approfittare delle marachelle di una difesa  a cui  Burdisso manca come un Virgilio...

Redazione

(di Paolo Marcacci) Dentro c'è di tutto, come una calza della Befana con due mesi  di anticipo: il carbone è dolce perché il Lecce non è in grado di approfittare delle marachelle di una difesa  a cui  Burdisso manca come un Virgilio alle pendici del Purgatorio;

le caramelle sono tante e tutte squisite, solo a Bojan non riesce di scartarle, nella sua serata alla Marco Pacione, per chi ricorda quel quasi attaccante juventino della seconda metà degli anni ottanta. Gioco-fraseggio-occasioni-amnesie-pause...C'è da stropicciarsi gli occhi da un'area all'altra, per motivi opposti e palpitazioni identiche; qualche istante in più per razionalizzare e convincersi che per fortuna Corvia non è Gilardino e che il mestiere di guardalinee a volte  consiste nel non guardarla, la linea, meno  che mai quella del fuorigioco, quindi nessuno racconterà mai all'almanacco di  quella volta che Osvaldo rovesciò il mappamondo, con la criniera al polo sud e la palla oltre il bentornato  Julio Sergio.

 

Comincia alla "Toh, chi si rivede!" perché Taddei lavora, di lima e di scalpello, fino a quando disegna con De Rossi il tirangolo delle Bermude dove sparisce la retroguardia salentina, per poi  dare appuntamento a Pjanic sull'uscio dell'uno a zero.

E qualcuno chiede, perplesso: "Si  ma Lamela?"; Lamela devi aspettarlo, perchè prima o poi ne avverti il profumo. E mi vengono in mente quelle cene a base di  tartufo, quello bianco e più pregiato, che un etto ti costa come un orologio: in genere ti presentano dei  piatti normali, se non addirittura banali, tipo  tagliatelle in bianco e uova al tegamino, perché poi arriva la  grattuggiata che tutto impreziosisce, rendendo unico ciò  che fino a un momento  prima era stato ordinario. Al minuto cinquantacinque, dopo la traiettoria al puntatore laser partita dal grilletto di Gago, Erik il ballerino, novello Fred Astaire, se ne va con lo smoking giallorosso in punta di piedi e di  tacchetti, dal limite dell'area fino al punto da  dove disegna una  traiettoria  che accarezza l'erba e bacia la guancia del palo: finsice prima la corsa della palla verso il tabellone pubblicitario che l'eco di stupore della Sud. Poi, se mi passata il termine, comincia a "pomiciare" col pallone, di suola e tacco come si addice a chi  passa senza imbarazzi dal mambo  al tip-tap. Il destino e Luis Enrique lo aiutano perché qualche minuto dopo la sua sveglia arriva anche chi parla la sua stessa lingua da predestinati: se c'è qualcosa di più profumato del tartufo, quello non può essere che Totti.