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L'ISTANTANEA Roma-Catania, Buon riposo, papà

(di Paolo Marcacci) Non può essere stato il giro delle lancette a contare tutto questo tempo, trascorso incredibilmente fino ai minuti di un recupero che speravamo infinito:

Redazione

(di Paolo Marcacci) Non può essere stato il giro delle lancette a contare tutto questo tempo, trascorso incredibilmente fino ai minuti di un recupero che speravamo infinito:

avresti stroncato qualsiasi orologio, anche quelli costosissimi e pregiati che hanno avuto al polso i tuoi ragazzi, tutti quei figli, qualcuno prediletto, che hanno abitato questa maglia di cui tu hai sempre avuto la chiave.

Più probabile, allora, che gli anni li abbia scanditi, invece del tic-tac per cui nessuno è alla fine davvero speciale, un altro rumore, che forse ti mancherà più di ogni altra cosa: il clak-clak dei tacchetti, quando le squadre sono in fila e percorrono il corridoio, mentre la borsa di una vita pesa sulla spalla e dopo il cono d'ombra del tunnel s'intravede uno spicchio verde smeraldo e arrivano attutiti i primi cori.

GiorgioRossi, mi viene da scriverlo tutto attaccato, come suona il nome dei fuoriclasse; due occhi buoni che hanno sempre abbracciato l'ellisse di uno stadio intero, un sorriso sghembo che si inclina a seconda di come sul campo vanno le cose, buono per la celebrazione o per rialzarsi dopo  la caduta; cos'altro dire, per definirti, se non che Tu sei  la Roma? In un tempo come questo, che non fa altro che parlare di immagine, saresti il merchandising dei sentimenti: ti metterei sulle sciarpe e sulle bandiere, basterebbe ad ogni tifoso per sentirsi migliore.

La storia viene sempre da lontano, molto più di quello che pensiamo o dell'orizzonte che  riusciamo a scorgere; allora che grande privilegio è stato averti sempre a fianco, la tua faccia buona e quel colore degli occhi che s'intona al prato, anche quando è grigio e con le zolle rivoltate, dopo i mille temporali che hai attraversato, dopo il sole a picco dell'Olimpico di maggio e dopo il ghiaccio del circolo polare, come quella volta a Tromso che l'abbraccio di Kuffour ti fece quasi paura: anche lui che era appena arrivato c'aveva messo poco a capire quanto fossi importante.

Sei stato il collante di una vicenda bellissima e sofferta, un'epopea che ha viaggiato sui tanti volti e sulle mille maglie che hai visto vestire, svestire, arrivare, andar via. Chissà in quante partite, di quelle che si vinceva e l'arbitro non fischiava mai, avrai pensato, come noi, che il tempo passasse troppo lento, apparentemente, come la corsa compassata di Aldair; stasera sembra invece che se ne sia scappato comunque troppo in fretta, come una  fuga di Francesco Rocca, come una serpentina di Bruno Conti col marcatore che andava a vuoto, come un pallone calciato da Di Bartolomei che prima di partire era già arrivato.

Il tempo ha fatto il suo giro, come la fascia al bicipite di Francesco: le sue cinquecento  volte e l'ennesima doppietta di  questa sera sono altrettante pacche sulla spalla che vi siete scambiati, come le generazioni di una famiglia che si specchiano l'una negli occhi dell'altra, a volte senza che ci sia bisogno di dire niente, come stasera forse,che ogni parola rischierebbe di  rompere il groppo in gola.

Il tuo stadio sia come la giacca sulle spalle che la tua gente ti sistema dolcemente per la frescura di quest'ultimo maggio d'amore e di lavoro, anche se nessun applauso potrà mai durare abbastanza da pareggiare il conto della tua dedizione, del tuo senso di appartenenza, di cosa voglia dire la Roma, per spiegarla anche a chi  pensa che sia una squadra come le altre. Le altre non hanno mai avuto un Giorgio Rossi, tanto per cominciare.

Grazie per ogni cosa, per ogni domenica, ogni divisa ufficiale. E per la nostra storia di tifosi di tutte le età: in ogni tua ruga d'espressione, ricontiamo stasera tutte le partite della nostra vita.