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L'ISTANTANEA di Roma-Cagliari. Settembre traditore

(di Paolo Marcacci – ForzaRoma.info) Quando tutto si divide a metà, in un pomeriggio di un giorno da cani in cui all’esagitazione di Al Pacino si sovrappone il cipiglio silenzioso di Luis Enrique, allora è difficile persino decidere cosa...

Redazione

(di Paolo Marcacci – ForzaRoma.info) Quando tutto si divide a metà, in un pomeriggio di un giorno da cani in cui all'esagitazione di Al Pacino si sovrappone il cipiglio silenzioso di Luis Enrique, allora è difficile persino decidere cosa salvare.

E cosa augurarsi di non vedere già più, fatto salvo il diritto di non voler già alienare la Roma bambina assieme all'acqua sporca della sconfitta interna e della constatazione che il campionato italiano è brutto soprattutto perché è chiuso, furbesco e sempre pronto a pugnalarti alle spalle, soprattutto se qualche episodio ti volta le spalle e se un arbitro nel complesso decente evita di soffermarsi a comprendere una frustrazione: solo giallo a Josè Angel e forse di qualcosa di diverso staremmo parlando, o forse no, dipende da quello che abbiamo visto e come.

 

Peccato perché il pomeriggio era iniziato in maniera scorrevole, proprio lì sotto la Tevere dove lo spagnoletto non solo stantuffava ma lavorava anche di fino, scaturigine importante sia di occasioni che di coraggio da prendere in corsa.

Poi c'era il Capitano, da cui quasi tutto è partito e a cui tutto avrebbe dovuto far ritorno, in termini di finalizzazione, se non lo avessimo visto così spesso a trenta metri dalla porta.

Però questo è un settembre traditore, nel sole che acceca e nel possesso palla che illude, tant'è che di lì a poco persino il pallone avrebbe cominciato a sudare, stordito dall'andirivieni e frustrato da ciò che non accadeva se non sulle scalfiture del muro cagliaritano.

E le assenze, come quella di Bojan che non riusciva neppure a guardarsi allo specchio, inevitabilmente cominciavano a far più rumore delle presenze, come quella di Osvaldo, spesso nel vivo ma ancora più spesso nel marasma di un aggancio mancato, di un  pallone troppo più in là per essere impattato.

Quelli come Ficcadenti prediligeranno sempre che gli si pari davanti un'utopia, perché con quattro parole di prosa a metà tra palleggio e muscolarità l'avranno sempre vinta, in questo campionatino che non è bagnato dall'acqua del Manzanares e non è arredato da Gaudì.

Restano sullo sfondo dell'uno a due abbacinato dalla canicola un pugno di cose che raduneremo con ordine di qui a San Siro: la personalità di Pijanic, i fianchi snelli e la corsa di De Rossi, l'appetito di Borriello, la (quasi) predestinazione di Borini.

E poi Totti: già, senza la sua bacchetta, chi dirigerebbe questa Roma dai vagiti ancora non accordati?