Sono in tanti a chiedersi cosa frulli nella testa dei due texani più taciturni della storia. Nel caso di Daniele De Rossi, scrive Giancarlo Dotto su La Gazzetta dello Sport, è fin troppo facile indovinarlo, alla faccia delle allegre comari che continuano a rosolare il finto dilemma del rinnovo o meno del contratto. Non sono tanto i risultati, a dir poco impensabili: 8 vittorie, 2 pari, il solo ko con l'Inter, peraltro messa sotto per un tempo come nessuno ha fatto quest'anno in Italia. Il vero miracolo è un altro. Nel poco tempo a disposizione ha scongiurato il disastro. Il malumore per la cacciata di Mou, agitato a dovere, stava già montando in rabbia, rivolta, contestazione. Daniele ha subito marcato la differenza con chi lo precedeva. Non ha nemmeno tentato un'emulazione. De Rossi non ha esitato a dichiararsi lui il beneficiato, il fortunato. Era la Roma il dono piovuto dal cielo. La squadra lo ha avvertito come uno di loro, riconoscendogli la personalità e le competenze per essere sopra di loro. Da Mou a De Rossi si è persa l'odiosa sensazione che la tua vita calcistica dipendeva dagli umori del Leader, che il tuo status di calciatore viveva di luce riflessa. Nella giornata del derby De Rossi capisce che quella squadra stava lottando così per sé, per la gente, ma soprattutto per lui, per regalargli l'orgasmo che meritava. Non c'è uomo più felice di chi riconosce nell'impresa dei suoi una dedica a chi li guida.
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La vittoria nel derby gli ha dato una dimensione totale. Il tecnico giallorosso ha subito marcato la differenza con chi lo precedeva
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