Un popolo ai suoi piedi

La cerimonia degli arrivi alla Roma è una roba seria, scrive Giancarlo Dotto su La Gazzetta dello Sport. Appuntamento immancabile per mitomani e cinefili più che tifosi. Niente cartapesta, tutto vero. Vero Dan alla cloche del suo jet che buca le nuvole e verissimo Romelu che scende per primo dalla scaletta tutto in nero, dalla pelle agli abiti, masticando sorrisi, imbarazzo e stupore. Con i Friedkin al comando, Roma è tornata la capitale dell’onirico, uno spettacolare set di divi e chimere.

Tocca ancora a Ciampino trasformarsi per una giornata in una sezione di Cinecittà. Due anni dopo Mourinho, l’agosto è meno afoso, appena piovoso e molto ventoso. Due anni fa era ancora pandemia, oggi è solo pandemonio. Il resto è copione già visto. Tutti presenti all’appello, inclusa la Beata Maria Vergine, la Madonna di Ciampino, la più smagata in fatto di miracoli e di apparizioni. A migliaia che non stanno nella pelle e naso all’insù. Una fumeria d’oppio a cielo aperto, di facce trasognate che sfogliano la margherita del sogno o son desto, pronte a consumare l’ennesimo sequestro di massa. Per quanto preparato, si capisce che Romelu non crede ai suoi occhi, fa fatica a decifrare il delirio. Si esalterà o si spaventerà. Forse entrambe le cose. Di sicuro, da ieri è prigioniero di questo abbraccio. Sarà lui, saranno le sue imprese o i suoi atti mancati, a decidere se sarà un re o un reietto. "Big Rom, New King of Rome", si portano intanto avanti i tifosi, nel non dubbio. Non era ancora arrivato Big Rom ed era già in ogni luogo, inclusi i muri di Roma.

Ventitré anni dopo Gabriel Omar Batistuta, per dire il più accostabile a Romelu, nel ruolo e nel carisma. Romelu ha tutto per saziare gli appetiti mitologici della tifoseria giallorossa. Dalla storia che lo precede e tutte le scene cult di campo seminate negli anni. Il bambino di 6 anni e già 39 di piede, che più povero non si può, che pregava al buio di notte con la madre e il fratellino Jordan perché non c’era luce, a bere latte mischiato all’acqua, perché non c’era abbastanza latte. Lo stesso bambino, irriconoscibile, nel frattempo diventato un tank, della disfida contro Ibra, in un celebre derby di Milano. Lo scontro di due bestie mitologiche. Il Leone dalle narici Fumanti contro il Serpente dalla Bocca Sibilante, uno contro l’altro a un millimetro dalla rissa in una macchia grandiosa di colore e di calore.

Mitologica e solidale invece la coppia che formerà a Roma con Paulo Dybala, coccolati dallo smisurato amore di José Mourinho. La Roma aveva il suo Mandrake, ora ha il suo Lothar. Un Lothar, nel frattempo emancipato e milionario che non arriva dalla Nubia con una pelle di leopardo, i pantaloncini bianchi e il fez rosso, ma dalle capitali del lusso e outfit modernissimi. La Joya e Big Rom. Due mancini uguali e contrari. Il Maghetto che estrae conigli dal suo cilindro e lo Spaccamontagne che i palloni se li mangia e gli avversari gli rimbalzano addosso. Più che una coppia, un magnifico ossimoro. Belli da far spavento. Il leggiadro argentino, un’illusione vestita da calciatore, e il dirompente belga di origine congolese, che porterà alla Roma la sua capacità non solo bruta di scatenare l’inferno quando l’inferno è necessario. Di qua il talento che prescinde dalla forza dei muscoli, di là la potenza che non può farne a meno.

Passata la sbornia, tocca ora a Josè Mourinho costruire una squadra credibile. Il mosaico è completo o quasi. Complicato da mettere insieme, ma tanta stoffa di qualità. L’obiettivo è talmente esplicito che non serve nemmeno dichiararlo: dalla qualificazione Champions in su. Niente più alibi.

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