Nei giorni scorsi sono state arrestate 18 persone dopo le indagini svolte dalla Procura di Torino guidata da Armando Spataro. Un testimone, appena sentito dai magistrati titolari di una inchiesta che scava nella commistione tra il tifo organizzato della Juventus e la ‘ndrangheta, si uccide senza motivo, come riporta l'edizione odierna de "La Gazzetta dello Sport". Si è suicidato lanciandosi dallo stesso ponte in cui nel novembre 2000 si era lanciato nel vuoto anche Edoardo Agnelli. La persona in questione è Raffaello Bucci, detto Ciccio, considerato uno dei nuovi capi del più importante gruppo ultrà bianconero: i Drughi. Inoltre da un anno ricopriva il ruolo di capo addetto alla sicurezza delle biglietterie della Juve e consulente esterno in veste di Supporter Liaison Officer, figura di contatto fra club e tifoserie.
rassegna stampa
Ultrà, suicidi e boss. Un’inchiesta scuote la curva della Juve
Gli investigatori torinesi, però, sono convinti che la sua morte sia in qualche modo collegata alle indagini antimafia, con un’ipotesi inquietante: è stato spinto a farla finita
L’inchiesta lo lambisce: è convocato senza avvocato, come persona informata sui fatti. Il racconto che fa a Monica Abbatecola, pm della Dda, è pieno di contraddizioni, lacunoso. Gli chiedono dei rapporti del clan torinese dei Dominello (legato a quello dei Pesce di Rosarno, uno dei più forti della ‘ndrangheta), sugli interessi legati alla droga, alle estorsioni e ai business in curva, soprattutto il bagarinaggio dei biglietti. E pure sul ruolo di Fabio Germani: big del tifo organizzato (e con ottime conoscenze tra la società bianconera) arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Passano 24 ore e Bucci muore: per la Procura di Cuneo è un suicidio. Gli investigatori torinesi, però, sono convinti che la sua morte sia in qualche modo collegata alle indagini antimafia, con un’ipotesi inquietante: è stato spinto a farla finita.
Insomma, l’inchiesta forse ha toccato i fili dell’alta tensione: la ‘ndrangheta che mette i semi nella curva della Juve, fino a determinare le scelte di potere per controllare i biglietti e avere una posizione di prestigio, è di sicuro da allarme rosso. Anche perché c’è chi riesce ad avere contatti con la dirigenza. Ecco spiegato come mai per due volte nelle carte compare il nome di Beppe Marotta. L’amministratore delegato della Juve non è indagato e gli episodi che lo riguardano sono tra il 2013 e il 2014. Nel primo c’è una richiesta di biglietti per la gara di Champions contro il Real. Germani li chiede per conto del boss Rocco Dominello, ma questo Marotta non lo sa. Soddisfa la richiesta del capo ultrà (chiedendogli massima riservatezza), lasciando la busta nell’hotel di Torino dove la Juve è solita andare in ritiro. Nel febbraio 2014, poi, Marotta è al bar Dezzutto (ritrovo abituale degli juventini), lì lo raggiunge Germani in compagnia di Dominello. Il boss chiede a Marotta di organizzare un provino «per un giovane calciatore figlio di un amico». L’amico è Umberto Bellocco, affiliato al clan di Rosarno dei Pesce che negli anni passati controllava direttamente due squadre di Serie D. Marotta li rimanda ai responsabili del settore giovanile, ma il ragazzo sarà mai ingaggiato. L’inchiesta continua e il nome di Marotta sparisce dai radar (e forse l’ a.d. nel frattempo riesce a troncare certe conoscenze pericolose).
Nel frattempo non si sa dove sia finito un leader storico dei Drughi: Geraldo Mocciola, detto Dino. Anche lui doveva andare dai magistrati per essere ascoltato come persona informata sui fatti. Ma da una settimana è irreperibile. Il suo nome più volte spunta nelle carte dell’inchiesta. Frequenta Rocco e Saverio Dominello (condannati in primo e secondo grado per associazione di tipo mafioso) e a loro chiede in una sera del 2013 il via libera (che arriva) su un nuovo gruppo, i Gobbi, da far entrare in curva. Sono anni che gli inquirenti cercano di capire a che livello siano arrivate le infiltrazioni mafiose nella curva juventina.
(Francesco Ceniti)
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