Non c’è più il fattore campo. E certo. Con gli stadi mezzi vuoti e quel silenzio a volte deprimente… La correlazione ce la suggeriscono due dati apparentemente distanti appuntati nel quaderno riassuntivo del girone d’andata del campionato: la fuga dagli spalti continua, se è vero che in questa stagione si è registrato un calo del 6,6% delle presenze medie a partita rispetto alle prime 19 giornate del 2013-14 (da 23.604 a 22.053); e forse non è un caso che le squadre di casa facciano più fatica, come testimoniano le sole 69 vittorie al giro di boa, il dato più basso dal 2004-05, da quando cioè la Serie A si è riallargata a 20 società.
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No tifo, no gioie la serie A non è di casa
Il -7% di questa stagione, seppur riferito a metà torneo e a dati non ufficiali, deve suonare come l’ennesimo campanello d’allarme.
Le cause della disaffezione del pubblico «reale» sono note e affondano le radici nel tempo: stadi vecchi e scomodi, difficoltà nell’accesso agli impianti, violenza, prezzi non concorrenziali rispetto ad altre forme di intrattenimento (si pensi al cinema), a maggior ragione in un’epoca di crisi economica. Banalmente, la Serie A ha smesso da un pezzo di essere il campionato più bello del mondo: certe partite della massima divisione italiana offrono uno spettacolo di una noia mortale e i tifosi sono i primi a percepirlo, compresi gli irriducibili che ancora frequentano le tribune. Secondo alcuni osservatori non basterà nemmeno ridurre il format da 20 a 18. I campioni ce li scordiamo, e a poco serve sottolineare il fatto che si segni di meno: 496 gol fatti (2,61 a partita) contro i 521 del 2012-13 e i 525 del 2013-14. Lo svuotamento degli stadi è un processo lento, progressivo e irrefrenabile: dal picco dei 34.205 spettatori a partita del 1991-92, in piena sbornia da Italia 90, le presenze della Serie A si sono erose anno dopo anno finendo per oscillare tra quota 22mila e 24mila, se si esclude l’anomala stagione 2006-07 senza la Juventus (18.756). Ciò che preoccupa è che la deriva non si arresta.
Il -7% di questa stagione, seppur riferito a metà torneo e a dati non ufficiali, deve suonare come l’ennesimo campanello d’allarme. Specie se ci si ricorda delle promesse che all’unisono – istituzioni statali, sportive e club – enunciarono nell’aprile 2014, a chiusura dei lavori della task force con Ministero dell’Interno, Coni, Figc e Leghe: «Ridaremo gli stadi alle famiglie, faciliteremo l’acquisto dei biglietti, cacceremo i violenti». Alcune iniziative, a onor del vero, sono state attivate, ma evidentemente non sono ancora sufficienti. «Le carenze infrastrutturali continuano a rappresentare il principale ostacolo per un’inversione di tendenza - spiega Marco Brunelli, direttore generale della Lega Serie A -. Se non riconosci lo stadio come un luogo di casa, faccio più fatica a convincerti a venire. La task force è servita ad attuare una serie di progetti. Si pensi all’abbattimento delle barriere: oltre alla Juve, l’hanno fatto a Cagliari, Cesena, Fiorentina, Reggio Emilia, Roma, Udine e per Milano si è avviato il percorso che si completerà con la finale Champions 2016. Certo, bisogna fare di più. Ma servono stadi nuovi, o quantomeno una trasformazione di quelli esistenti».
Questa stagione l’assenza di piazze come Catania e Bologna non ha aiutato. La crisi delle milanesi, che pure si sono prodigate in azioni di marketing, ha fatto il resto: vedere il Meazza mezzo vuoto per Milan-Sassuolo nel pomeriggio soleggiato dell’Epifania, dopo l’astinenza delle feste, è stato un pugno nello stomaco. Ma a far da contraltare c’è il Sant’Elia riaperto che ha fatto crescere l’affluenza del Cagliari. Al di là delle contingenze, la depressione da stadio è una malattia cronica che nessuno ha la forza e la voglia di debellare. A parte alcune eccezioni, le società continuano a schivare il problema, chiuse nella torre d’avorio dei diritti televisivi. Gli ascolti delle dirette in pay tv, dopo l’inspiegabile calo delle prime giornate, hanno ripreso quota e si sono riposizionate sui livelli delle stagioni passate: circa 8 milioni di telespettatori in media a giornata. Con i contratti già firmati per il prossimo triennio e la certezza di incassare il 20% in più fino al 2018, non vorremmo che il mondo del calcio ricada nello stesso errore del passato, fregandosene degli stadi e del popolo che dovrebbe frequentarli. Perseverare sarebbe diabolico.
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