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Spinazzola sprinta: “Mi sentivo quasi finito ma ora voglio alzare la Coppa”

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Il terzino sinistro e il ritorno in campo: "Ho avuto anche paura di non farcela Questo gruppo mi ricorda l’Europeo"

Redazione

Una finale l’ha persa per strada, l’altra l’ha recuperata in extremis. In quasi 11 mesi il destino di Leonardo Spinazzola è quantomeno bizzarro: da una parte toglie, dall’altra restituisce, scrive Andrea Pugliese su La Gazzetta dello Sport.  Con la speranza, però, che il finale sia lo stesso di Wembley, quando l’Italia vinse l’Europeo contro i padroni di casa dell’Inghilterra e Daniele De Rossi lo portava in giro per il campo a festeggiare con quel piede sinistro a penzoloni e le stampelle in alto, a suggellare il trionfo. Domani Spinazzola vuole aiutare la Roma a portare a casa la Conference League, contro gli olandesi del Feyenoord. Anche perché oramai l’incubo è davvero alle spalle.

Spinazzola, la finale di Tirana è anche un piccolo riscatto per quella che non ha potuto giocare a Wembley, lo scorso 11 luglio?

"No, perché l’Europeo mi sento di averlo vinto anche io. Giocando o no, ho dato il mio contributo. Ma ora conta Tirana".

Dove la Roma avrà uno Spinazzola in più. Come si sente dopo Venezia e Torino?"Bene. Dopo il Venezia mi sono sentito subito a mio agio. Ora mi manca di giocare il più possibile, da questo punto di vista peccato che la stagione sia finita. Mi manca il minutaggio, il prendere ancora più consapevolezza".

Le prime sensazioni dopo il suo ritorno in campo?

"Mi sono sentito subito bene, come se fosse passato poco tempo dall’ultima gara. E guardando indietro forse è anche un bene che un po’ mi sia dimenticato ciò che ho passato. È stato brutto".

Ma ha mai avuto paura di non riuscire a tornare?

"Sì, quando non vedevo arrivare i risultati: lavoravo, stavo a Trigoria dalle 9 alle 16, ma ero come un morto, non vedevo crescere il muscolo. È stata la sensazione peggiore, il momento più duro. Mi sentivo impotente, lì ho avuto paura di non farcela. Poi ho fatto un change e sono riuscito a ripartire. Avevo solo bisogno che passasse un po’ di tempo".

A livello di gruppo, vede delle analogie tra questo della Roma e quello azzurro dell’Europeo?

"Beh, sì, come compattezza molte. Poi è normale, lì siamo tutti italiani, è diverso a livello di comunicazione. Anche perché io non parlo inglese, con alcuni compagni comunico a gesti. Fosse spagnolo sarebbe sicuramente meglio... Ma siamo compatti in campo. E viviamo un bello spogliatoio: felice, dove si scherza".