Dipendiamo troppo dai proventi tv e cresciamo poco negli altri settori, continuiamo a ingrossare le tasche dei calciatori (e dei loro agenti), ci indebitiamo sempre di più soprattutto con le banche, il Fisco e i fornitori, in alcuni casi ci indebitiamo ancor prima di diventare proprietari. La Serie A è il traino di tutto il movimento ma non gode di ottima salute. Lo certifica l’inchiesta annuale del "La Gazzetta dello Sport" sui bilanci dei club. Il paradosso è che nella scorsa stagione il risultato netto aggregato d’esercizio è stato positivo, come non accadeva dal 2000, eppure i debiti al netto dei crediti hanno sfondato per la prima volta il muro dei 2 miliardi. Più in generale, da una stagione all’altra le plusvalenze della Serie Asono raddoppiate: dai 347 milioni del 2015-16 ai 690 del 2016-17. Ben vengano i colpi di Pogba o Higuain, il guaio è quando le plusvalenze non sono altro che operazioni di cosmesi contabile, in cui il denaro non si vede e i valori dei calciatori vengono gonfiati artatamente tra club che si ricambiano il favore. Non è un caso se l’indebitamento del massimo campionato sia arrivato a 2,1 miliardi di euro. Beninteso, si tratta di debiti al netto dei crediti (si pensi ai saldi da calciomercato): quelli lordi sarebbero ormai sulla soglia di 3,5 miliardi. Nel 2015-16 i debiti netti erano 1,871 miliardi, l’anno prima 1,724. È un’escalation. Le società fanno la coda in banca: farsi scontare i contratti televisivi e di sponsorizzazione è una prassi, anzi una necessità insopprimibile, come dimostra l’agitazione di molti dirigenti in questi giorni per via delle incertezze sulla partita televisiva con Mediapro, chiamata a garantire oltre un miliardo a stagione. E la crescita di un centinaio di milioni dell’area marketing è dovuta per lo più ai contratti tra l’Inter e la casa madre Suning. Insomma, resta sul tavolo il problema dello sviluppo delle fonti di entrata. Per la prossima stagione quelli della Figc saranno ancora più stringenti: l’indice di liquidità (rapporto tra debiti e crediti a breve), utile per misurare la capacità di un club di far fronte ai fabbisogni della stagione, è uno spauracchio per molti. Certo, gli esempi positivi non mancano. I conti in regola di chi occupa le prime due posizioni della classifica sul campo dimostrano che si possono combinare efficienza e risultati, ma nella fascia alta la coperta è troppo corta, se si considerano le difficoltà della Roma e delle milanesi. Tra le medio-piccole la valorizzazione dei propri talenti è ancor di più un mantra: c’è chi è abilissimo come Atalanta e Sampdoria. La differenza, in termini di virtuosismi, la fa la gestione caratteristica, escluso il mercato: le conduzioni più equilibrate sono quelle di Torino, Cagliari e Crotone, non a caso le uniche società di Serie A – assieme al Napoli – a non fare ricorso al credito bancario. Mosche bianche.
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Serie A: la polvere sotto il tappeto
Il nostro calcio dipende troppo dai diritti TV e cresce poco negli altri settori
(M. Iaria)
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