rassegna stampa

La Roma bada all’onore

I giallorossi sapevano di perdere, hanno solo tentato di salvare la faccia e l'onore.

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La Roma non ha giocato per vincere, ma per perdere di poco. Fossero stati altri sette, si poteva togliere un articolo e accomunare una squadra a un Paese: la Roma è come Roma, intesa come capitale espressione di una nazione e di un popolo. Distante, troppo, dall’Europa che conta. Ma il calcio vive del presente, offre subito la possibilità del recupero nonostante un’altra sconfitta, seppur con meno vergogna nei titoli. La dinamica del gruppo è cambiata e un successo a Mosca potrebbe bastare se il City non batterà i tedeschi, già promossi e primi. Però sono ancora molte le soluzioni per il secondo posto: passi il turno e fai festa, nonostante queste gelide sferzate bavaresi. Così la Roma può ancora diventare meglio di Roma: non è sicuro, ma rimane la possibilità. Non va gettata. Però va cercata in un’altra maniera.

I motivi Il 2-0 fa risaltare la predisposizione difensiva non pessima come all’andata, però il Bayern è sempre padrone, non fa sgorgare palle gol subito, ma le diluisce nei due tempi: sono comunque sette, mentre la Roma riesce a tirare soltanto dopo 84 minuti. Ribery infila il suo secondo centro in questa Champions con la prima opportunità seria: siccome è già il minuto 38, la Roma pensa di aver sorvolato la tempesta, perché le cinque reti di due settimane fa erano già storia al 36’. Ma dopo riesce a uscire di rado dalla sua metà campo: possesso palla del 29 per cento, da quattro anni mai così basso (e l’ultima volta sempre qui, contro Van Gaal). L’idea di Garcia, 4-4-2 difensivo stretto in poco più di 15 metri, tre fasce d’erba secondo il taglio dei giardinieri dell’arena, funziona solo fino al vantaggio. Doppia, anche tripla copertura dei corridoi: Torosidis-De Rossi-Florenzi a destra, Holebas-Keita-Nainggolan dall’altra parte; con i tedeschi accerchiati, rallentati. Ma si vede che Alaba può far saltare il banco, e l’orizzonte sinistro si libera per l’assist della rete, perché Ribery risucchia Torosidis, Florenzi aspetta Bernat che sta fermo, Lewandowski toglie i centrali correndo sul primo palo. Nella ripresa invece Lewa va sull’esterno per servire il raddoppio a Götze. Perché Guardiola fa ruotare i tre attaccanti nella posizione di centravanti: anche Ribery fa centro dalla piastrella centrale.

Roma diversa Per evitare la quarta sconfitta in un mese, Garcia ha provato a rivoluzionare l’anima della squadra. La panchina di Totti non è una sorpresa, viste le prestazioni recenti, ma che Pjanic e Gervinho entrino solo a metà ripresa, oppure che De Sanctis sia fuori fa pensare a ragionamenti a lungo termine, tipo quelli di Rodgers del Liverpool che contro il Real Madrid ha risparmiato molti big per non stancarli. Come i Reds, anche la Roma non si giocava qui la promozione e aveva molte possibilità di sconfitta, previsione poi avverata. Fra i «nuovi» Iturbe corre il doppio di Destro, Florenzi prova a ostruire il suo corridoio, ma la linea difensiva è quella di Napoli. Non viene presa sempre in velocità, però quando il Bayern aumenta le pulsioni, le sue punte sono libere. Nainggolan e De Rossi riescono a non farsi sommergere dall’affanno: gli altri sì.

Le mosse del Bayern Influenza intestinale per Robben, che nel pomeriggio lascia il ritiro, panchina per scelta invece per Müller. Il ritorno di Ribery sembrava scontato dopo gli strepitii di sabato, quando il francese ha cambiato la partita con il Borussia Dortmund e determina anche questa. Talvolta il Bayern è a 4-3-3, la più leggibile sistemazione dietro, ma attacca a 2-5-3, batte il centrocampo con una linea 2-6-2, tutti si spostano e sono sempre in vantaggio sui rivali. Prestazione tattica e fisica eccellente. Alaba, il migliore se non fallisse una rete facile, è ovunque. Ha uguale naturalezza se deve attaccare o difendere. Qui è centrocampista che non fa differenza tra gioco verticale e orizzontale. Esce per un infortunio (almeno 2 mesi fuori) e Guardiola si arrabbia con la sorte. Anche Garcia perde Florenzi e Keita, ma non è la causa di una sconfitta quasi cercata, basta che fosse lieve.