rassegna stampa

Una rivoluzione firmata Pallotta «Roma da titolo»

Alla Roma raccontano come l’era americana abbia come filo conduttore l’ossessiva ricerca dei risultati.

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Chi ha conosciuto James Pallotta ha già come prima impressione di avere a che fare con un tipo simpatico e comunicativo, senza per questo scivolare nella confidenza un po’ grossier che hanno alcuni numeri uno del calcio italiano. Ma attenzione a non confondere i modi affabili con la ricerca costante di sostanza. Il suo curriculum di re degli hedge fund, infatti, già inquieterebbero coloro che abbiano una visione (impossibilmente?) etica del rapporto tra finanza e mondo reale. Detto però che tutto ciò a chi pensa solo al calcio non interessa affatto, anche alla Roma raccontano come l’era americana abbia come filo conduttore l’ossessiva ricerca dei risultati. Insomma, niente buonismo: chi non soddisfa (a torto o a ragione) o non segue la linea, prende altre strade.

DIVORZI Pensateci, dall’agosto 2012 il restyling ai vertici societari è stato profondo. Detto che il ruolo di uomo forte è sempre appartenuto a Pallotta – che ha nel suo uomo di fiducia Mark Pannes il primo referente strategico – all’inizio però il presidente è stato Tom DiBenedetto, poi scopertosi semplice socio utile nell’operazione di acquisizione della società.

Nelle vesti di direttore generale si è passati da un uomo di pura estrazione calcistica come Franco Baldini a un esperto principalmente di giurisprudenza come Mauro Baldissoni, l’unico (con Pallotta e Zanzi) ad avere potere di firma. Il nodale settore commerciale è virato dal tedesco Cristoph Winterling allo statunitense Sean Barror, così come la responsabilità della Comunicazione era già passata da Daniele Lomonaco a Catia Augelli, che ha come referente strategico anche Guido Fienga. Ma non basta. Se si pensa che sono andati via anche il vice presidente Joe Tacopina e l’amministratore delegato Claudio Fenucci, si capisce come la rivoluzione non russi, senza contare che è uscito di scena anche l’iniziale partner UniCredit e si è affacciata la Starwood Capital, utile – insieme alla Nike e alla banca d’affari Goldman Sachs – all’operazione stadio. Una rivoluzione in piena regola, di cui non si conoscono bene i confini: basti notare come non sono noti neppure tutti i partner della controllante Usa del club, visto che accanto agli «storici» Michael Ruane e Richard D’Amore, a ottobre hanno fatto informalmente outing in questo senso anche due «ignoti» come Larry Berg e Bennett Rosenthal.

STADIO & SUCCESSI Certo, il calcio ha vincitori chiari – e la Roma per il momento rincorre – mentre nel business tutto è più sfumato. Da questo punto di vista, però, Pallotta è di sicuro un vincente, soprattutto dopo che il Comune due giorni fa ha dato il via libera al nuovo stadio della Roma concedendo la «pubblica utilità», pur tra le polemiche. «Vorrei convincere tutte le persone che hanno votato contro – dice Pallotta ai microfoni di Roma Radio –. L’obiettivo è fare pensare anche a loro che sia qualcosa di positivo per città. Per portare eventi di tipo mondiale, c’è bisogno di questo stadio.Chi è della Roma, poi, sa che lo stadio è fondamentale. Gli introiti verranno utilizzati per rinforzare la rosa. Siamo già una squadra da scudetto e credo che saremmo primi senza gli infortuni di Castan e Strootman, che non andrà allo United. Nei prossimi anni vogliamo lottare per il titolo e la Champions, Il nostro è un progetto a lungo termine, 5 anni, e con Garcia e Sabatini abbiamo cambiato molte cose, rinforzando la squadra». Ecco, la parola chiave è proprio questa: squadra. E chi per Pallotta non funziona, meglio abbia la valigia pronta.